Vi avevo lasciato, con la mia ultima copertina, riferendomi all’attenzione dello sviluppo del “layout” didattico-museale a favore di una prospettiva realmente “visitatore-centrica”, abbandonando i criteri meramente espositivi, patrimoniali o, peggio, di indottrinamento massificato.
Il processo per cui è possibile sviluppare una tale concezione deve partire dall’indagine, da eseguire presso i destinatari delle offerte museali, di cosa essi stessi intendano per museo. Potrà apparire banale, ma quello che vi sto proponendo, che diverrà il tormentone in varie salse di quest’anno, ovvero cosa sia un museo, è domanda che raramente ho sentito porgere dal nostro sistema museale, ammesso ne esista uno.
Molti, infatti, continuano e continueranno a rimanere basiti da come i media trattino dei soliti dati sulla gestione del patrimonio pubblico, in mano a un oligopolio più o meno partecipato da enti e terzi collegati a mondi politici ed istituzionali. Quello che dovrebbe essere il nostro “petrolio”, in realtà è gestito a beneficio economico di pochi, ma le indagini, pur serie di molti giornalisti, non vanno oltre.
L’idea di museo, che ne consegue, è quello delle file estenuanti, della Galleria degli Uffizi, del Colosseo, delle polemiche, degli interventi ministeriali, dei numeri da affluenza da stadio, quando l’ingresso e gratuito, ma tutto ciò non è la realtà museale italiana e non ha nulla a che spartire con l’approccio scientifico alla didattica museale (o didattica oggettiva, come è denominata in INFOGESTIONE).
Se ben notate il dibattere sulla “musealità”, in realtà, insiste sempre e solo sulla gestione amministrativa del patrimonio pubblico, ovvero: comprendere chi ci guadagna dal settore e quanto, per scoprire che sono sempre i soliti. Sono anni che assistiamo a questo spettacolo, ma nessuno entra nel vivo della questione, molto probabilmente perché i veri addetti ai lavori (e ve ne sono molti e bravi in Italia) non ottengono la dovuta ed opportuna visibilità. La maggior parte del sistema museale non è rappresentato da un management specialistico (al di là delle funzioni dirette sui reperti) e ciò accade, sovente, perché non si ha o non si vuole avere la minima idea di cosa possa esser un museo oltre al fatto di concepirlo come una biglietteria (reparto dell’organigramma museale sempre ai primi posti nei discorsi sui musei), vero creatore di ricchezza museale posta subito prima di quelle cose così ingombranti, che debbono essere esposte. Certo, qualcuno si sbilancia a parlare di prevendite, di “sito unico” o di innovativi “layout”, alla cui fine occorre fare trovare l’area shopping: ma a questa “genialata” c’erano arrivati decenni prima anche le aree di sosta e di ristoro delle più sperdute autostrade del nostro stivale. Notate come non entri nella polemica delle opere celate durante la visita istituzionale iraniana: è innegabile che sia di conforto e prova a questo mio ragionamento.
Occorre ripartire da cosa sia un museo per una borgata, per un paese, per una città industriale, da cosa sia un museo italiano per un Finlandese, per una scuola di Messina, per un operaio di Torino (ammesso che ve ne siano ancora: non se ne parla quasi mai), per un’amante di Tokyo, per un vedovo del Texas. Occorre rendersi conto che non esistono solo le città d’arte, non esiste solo la “musealità estensiva”, ma la massa museale è costituita da migliaia di entità, il più sconosciute, che debbono avere pari dignità, se considerate nella loro funzione, di quelle più blasonate e “da botteghino”. Provate a chiedervi quanti siano i musei in Italia, quali argomenti trattino e dove siano posizionati e capirete quanto sia limitata una certa visione “espositivo – patrimoniale” più che “museologica” di sistema socio-culturale-economico.
Sembra che nessuno abbia il coraggio di denunciare la nudità di un re, i cui cortigiani non sanno di cosa parlano ed intravedono dell’argomento solo gli aspetti speculativi prossimi e comodi, oppure aspetti populistici attrattori di benevolenza elettorale.
Mi sovviene l’idea di una mia amica, che mi aveva contattato perché, rinvenendo in uno scantinato i componenti del laboratorio di moda di sua madre, che vantava nel dopoguerra un’impresa di prestigio con vari addetti, era stata rapita dal desiderio di creare un qualcosa che al tempo stesso esprimesse memoria per una professione ormai perduta (e forse gratitudine alla genitrice ed alla generazione) e possibilità di inserimento sociale per giovani in difficoltà. Questa è una visione, certo non potrà essere assunta a pensiero unico di settore, ma questo è proporre un’idea museale, una prospettiva, un’idea, un vivere un passato dandogli voce per un futuro, oltre l’estasi feticista, il più delle volte farlocca, con cui spacciamo il nostro “patrimonio culturale” (binomio lessicale tutto da verificare).
Prepariamoci, quindi, a partire dal nuovo sondaggio proposto in occasione di questa copertina, a riflettere, per tutta la durata di questo anno, su cosa sia per noi un museo. Sono sicuro che dietro la cortina della banalità e del luogo comune imposto, si possano aprire impensati orizzonti di creatività.
Ad maiora!
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Titolo: “Musei?”
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Codice: INET1602051700A1
Ultimo aggiornamento: 05/02/2016
Pubblicazione in rete:
2° edizione, 05/02/2016
3° edizione, 28/11/2018
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