Ci risiamo. Siamo nuovamente bloccati. Rispetto alla prima ondata pandemica, quella del marzo scorso, le chiusure assumono un carattere progressivo, definite su base geografica, soprattutto, dal rischio di sovraccarico dei presidi ospedalieri.
Per il momento non si è esercitato il blocco completo del Paese, come durante la chiusura precedente, ma per molte categorie e molte persone è, comunque, un rivivere situazioni incresciose, se non disperate.
Non fanno eccezione i musei: nuovamente chiusi e, forse (come sempre non tutti), tra le realtà, il cui comportamento, almeno da questi primi tempi di chiusura, non così lontano da quello tenuto in questa primavera, caratterizzato da un proliferare su web, ed in particolare sui social, di produzioni video, più o meno professionali, che, in realtà non hanno sortito il risultato sperato (ovviamente con le dovute onnipresenti rarissime eccezioni). Si è invece toccato con mano la dipendenza dai visitatori stranieri e la scarsa capacità di indurre domanda domestica, comportamenti comprensibili a marzo, meno di questi tempi.
Spiace sempre fare la parte del grillo parlante, ma, come previsto dalla copertina del mese di giugno, non solo la sovraesposizione mediatica non ha sortito effetti significativi, ma ancor meno quello spasmodico cercare di ritrovare forzatamente la normalità, senza riflettere seriamente su ciò che stava accadendo e sarebbe accaduto, come evidenziato dalla copertina in questione: “L’approfondimento ed il potenziamento delle capacità di comprensione e di gestione dei fenomeni comunicativi, che coinvolgono tutte le funzioni della conduzione di un sistema, potrebbe fare evolvere l’attività didattico-espositiva a livelli di coinvolgimento, di sviluppo cognitivo, formativo ed introspettivo ben diversi da quelli esprimibili con pollici, cuoricini e faccine varie“.
A sostegno di tale tesi ed a dimostrazione che ciò non è astrazione accademica, ma solco già percorso da altre realtà museali, alcune tra le ultime interviste rilasciate a NM, tra le quali emerge quella rilasciata da Filippo Lorenzin, Membership Sales Manager del Victoria and Albert Museum a Londra, e da cui si evince come sia vincente la condivisione, a tutti i livelli, della missione del museo e la particolare attenzione al visitatore, al suo coinvolgimento ed alla sua fidelizzazione. Continuando nella lettura del citato intervento:” La cultura anglosassone è tradizionalmente votata alla popolarizzazione della cultura, in ogni sua forma. Semplificando: se in Italia possiamo contare le personalità famose legate all’arte e la storia sulle dita di una mano, nel Regno Unito ci sono molti più artisti, esperti e storici che, vuoi per aver scritto libri di successo o per aver partecipato a programmi televisivi seguiti da milioni di persone, ricoprono un ruolo di rilievo nell’immaginario popolare”. Tutto ciò ci parla della consapevolezza del ruolo di servizio dell’entità museale e della sua prossimità nei confronti dei visitatori: in poche parole di una ragione d’essere cercata e condivisa tra tutti i componenti l’istituzione museale. “Per far sì che ci sia armonia tra i messaggi espressi dall’istituzione è necessario un’accordanza di intenti tra i diversi dipartimenti che va al di là di riunioni aziendali e comunicazioni interne; è fondamentale, ancora una volta, che tutti abbiano chiaro in mente la missione del museo”.
Torniamo così a due concetti cari a noi di Infogestione e di NM: scienza e management. È inutile cercare di forzare un ruolo nei confronti di una collettività, se la stessa non è in grado di riconoscerlo. È molto più intelligente cercare di comprendere lo stato di fatto, più che pretendere di essere riconosciuti e osannati come soggetti di assoluta competenza. Per attuare questa operazione di intelligenza non resta che “fare più scienza” all’interno di certi enti ed imparare ad implementare organizzazioni, che possano tradurre i risultati di tale processo scientifico in management didattico e di gestione. Alla base di un processo così profondo occorre comprendere che una siffatta operatività risulterà essere sempre più complessa e necessiterà, risparmiandoci il solito banale ed ipocrita mantra della scarsità di mezzi, di risorse umane sempre più specializzate. Musei e gallerie tendono ad assomigliare sempre più alle università, o meglio, a quelle università, rare sul nostro territorio, che possono sviluppare ricerca, didattica, comunicazione, ruolo istituzionale e territoriale, capacità di dialogo e di operatività, come si direbbe oggi, “trasversali” e, soprattutto, di emancipazione ed autonomia economico-finanziaria.
Questi sono i tempi per pensare il museo del futuro.
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Titolo: “Come volevasi dimostrare”
Sezione: “La copertina”
Autore: Network Museum
Codice: INET2010051200MAN/A1
Ultimo aggiornamento: 12/11/2020
Pubblicazione in rete: 3° edizione, 12/11/2020
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: NETWORK MUSEUM
Fonte immagine: fotogramma tratto dal film A Beautiful Mind
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Collegamenti per approfondimenti inerenti al tema:
– Sovraesposizioni museali
– Membership Sales Manager: il museo come ispirazione collettiva