A cura della redazione di Network Museum
Quest’anno di Oriente e, in particolare, di Cina si è parlato parecchio. Molto probabilmente se ne parlerà sempre più in futuro, per quello strano fenomeno di migrazione del centro di attrazione socio – economico, culturale e politico, che sembra procedere secondo un moto retrogrado rispetto al moto apparente del sole. Abbiamo approfittato di questa romantica suggestione da sistematica di fine ottocento, per introdurre questo primo appuntamento con la nostra nuova sezione tematica “dall’originalissimo” titolo di “NM Storie”.
Amenità a parte, questo spazio è una delle novità di questa quarta edizione. Risponde ad una esigenza, che da molto tempo tormenta la nostra redazione: raccontare esperienze culturali e museali dalle prospettive più inconsuete e, perché no, meno probabili. Tutto ciò potrà certamente aiutarci a comprendere con più profondità il fenomeno della trasmissione della conoscenza (ovvero la missione di Infogestione) attraverso il patrimonio culturale materiale: la contaminazione come artifizio prospettico.
Abbiamo inaugurato, pertanto, questa nuova rubrica forse anche con moto scaramantico, ovvero chiedendoci di quella cultura da dove è provenuto l’esserino, che tanto lutto e tanto tormento, durante l’anno trascorso e corrente, sta procurando alla nostra specie.
Dai racconti di Messer Polo alle acquisizioni cinesi di territori e strutture di mezzo mondo, passando per le previsioni del nostro più tragico ventennio sull’espensione economica orientale e cinese, ogni epoca ha registrato un rapporto particolare con l’Oriente. Una caratteristica che accomuna la storia di queste relazioni è la scarsa attitudine, sempre viva in noi occidentali, di sforzarsi di comprendere la cultura di tutti quei popoli ad est di noi “ovest”, che privi dello stampo europeo – occidentale, sono ritenuti “altro” da ciò che definiamo, ancor oggi in piena globalizzazione, mondo, salvo i perenni tentativi di sottrarre a quei tanti e stessi luoghi, non “occidentalmente civili”, ogni cosa di cui il nostro “mondo” abbia necessità: risorse, spazi e dignità umana compresa. Quanto asserito vale, purtroppo, anche per il sud del globo e forse anche per chi è troppo a nord: insomma, non è colpa nostra se il mondo siamo noi!
Siamo consapevoli di non poter rimediare ai tanti secoli di angherie e barbarie, che la nostra comune casa europea ha procurato ovunque un suo figlio avesse messo piede. Abbiamo chiesto, pertanto e certamente fuori tempo massimo e, comunque, seppur minimi, già in ritardo per la storia, a Giovanni Bottacini, sinologo e storico dell’arte contemporanea, di indirizzarci alla comprensione di un diverso modo di considerare l’esistenza, che prima di essere minaccioso è forse solo lontano da noi e dalla nostra configurazione culturale sempre gravida di stereotipi e spesso carente di “intelligenza”, lacune che la nostra storia, ancora ora, malgrado il pianeta si sia drammaticamente “ristretto”, non riesce a colmare.
Giovanni Bottacini
È sinologo e curioso della cultura contemporanea. Ha lavorato nel mondo culturale olandese, cinese e nel mezzo tra i due. Particolarmente interessato alla cultura musicale, queer, video ludica e “bassa” in Cina ed a livello globale, è affascinato dall’introduzione di concetti teorici non-occidentali nella cultura e nel dibattito accademico come atto de-coloniale.
Ulteriori fonti ed informazioni sull’Ospite:
– https://www.linkedin.com/
Network Museum – Chi è Giovanni Bottacini?
Giovanni Bottacini – Un sinologo e storico dell’arte contemporanea con un senso di inquietudine per il sistema dell’arte odierno. Perciò preferisco definirmi in maniera semi-seria un “curioso della cultura contemporanea.”
Network Museum – Cos’è la cultura per Giovanni Bottacini?
Giovanni Bottacini – La cultura è l’arte “alta” di perfomance e produzioni artistiche significative e poetiche, ma anche dell’elitarismo ipocrita del mercato dell’arte contemporanea, creando contenuti socialmente critici, ma completamente fine a se stessi e alla propria commercializzazione. Tuttavia, la cultura è anche quella vibrante ed in continua trasformazione, quella con contenuti anche “Pop” e “Trash” come ad esempio il fenomeno dei meme, oramai discutibilmente diventati un vero e proprio fenomeno culturale e veicolo di espressione di intere generazioni, ma che visto il suo potenziale di diffusione enorme, può venire facilmente manipolata e politicizzata.
Network Museum – Cos’è un museo ed a cosa serve?
Giovanni Bottacini – Il museo è uno “spazio sacro”(Slavoj Žižek, Il Trash Sublime, 2000), ovvero il luogo dove si celebra la produzione artistica passata e contemporanea. Tuttavia si ritrova ora confrontato con una scomoda realtà: l’arte moderna e quella contemporanea hanno presentato una progressiva spinta verso l’elitarismo concettuale, che ha reso i musei uno spazio oramai distante dagli interessi del cittadino medio. Il museo è uno spazio a prevalente missione educativa ma anche di discussione. Tuttavia ritengo che nella società odierna, la discussione artistica non possa limitarsi ai soli spazi museali, altrimenti si corre il rischio di creare una bolla culturale dove si trova unicamente approvazione dei propri pari, e nessuna discussione. La discussione deve necessariamente filtrare nella società per aver alcun impatto su di essa. Il museo da solo non ha le capacità per raggiungere questo obiettivo e necessita di nuove strategie di diffusione della cultura.
Network Museum – Perché la Cina?
Giovanni Bottacini – La Cina è un paese dalle potenzialità culturali assolutamente enormi. Basti guardare agli sviluppi, ad esempio, della scena artistica o musicale punk ed elettronica in Cina: periodicamente repressa (chiusure di club per uso di droghe o per messaggi politici che disturbano l’armonia pubblica) e periodicamente riaffiora. A volte immagino l’influenza culturale che un paese come la Cina potrebbe avere se solo il sistema politico fosse più lungimirante nella sua politica domestica, e probabilmente saper parlare cinese sarebbe più utile di quanto sia ad oggi. In conclusione sono affascinato dalla resilienza (per usare una parola particolarmente in voga nel 2020) e dalle istituzioni e lavoratori culturali “dal basso” che sopravvivono nonostante tutto.
Network Museum – Come è considerata la cultura in Asia ed in particolare in Cina?
Giovanni Bottacini – Chiaramente è difficile parlare per un intero continente e sommare le loro strategie culturali. Invero, è già difficile farlo per la sola Cina. Prendiamo ad esempio i tre stati est asiatici più noti: le strategie culturali differiscono, ad esempio tra (sud) Corea, Giappone e Cina. In Giappone, cultura è (anche) orgoglio nazionale, legata alla tradizione, ma è chiaramente anche la cultura contemporanea, che passa da i best sellers di Haruki Murakami all’arte di Yayoi Kusama e Takashi Murakami. Cultura è anche soft power, come nel caso del fenomeno culturale dei manga ed anime, nonchè dei videogiochi, essendone la patria. Similmente, in Corea, c’è un focus sulla cultura come soft-power, basti pensare al fenomeno globale del Kpop e delle/degli “idols”, oramai estremamente in voga anche tra i giovani del sud e nord-america, o di come dopo la hit globale Gangnam Style del rapper PSY, il governo stesso avesse messo pressione sul cantante sperando di ottenere altre hit dello stesso livello per incrementare la propria influenza internazionale. In Cina ci sono interessi simili alla Corea ed al Giappone ma con una differenza fondamentale: la diffusione di produzione culturale è estremamente controllata e verticalizzata a causa del sistema politico vigente. Questo crea non pochi ostacoli alla diffusione della cultura come soft-power in Cina: ad esempio si può pensare a programmi televisivi con numeri da record in Cina, come “Rap of China” (中国新说唱), un reality tv sul rap e l’hip hop in stile x-factor prodotto da una piattaforma di streaming Cinese iQIYI. Causando quello che sembrava un boom di interesse per il rap e l’hip hop cinese e la nascita di una nuova scena musicale in Cina, il programma è stato reso, a detta di molti, “troppo blando” nelle stagioni successive per pressioni ufficiali visti i contenuti delle canzoni originali dei partecipanti “troppo critici e negativi.” Altro esempio lampante è il programma dell’Istituto Confucio, di cui io stesso ho usufruito per andare in scambio in Cina: il ministero dell’educazione offre borse di studio decisamente convenienti per attrarre sinologi a studiare in Cina come strumento di soft power. Allo stesso tempo, nella mia stessa università di studio, l’Università di Leiden, nei Paesi Bassi, l’Istituto Confucio è stato chiuso definitivamente dall’istituzione ospitante perché “gli interessi dell’istituto non si allineano più con gli interessi dell’Università.” Lo stesso sta accadendo in diverse università europee, tra cui ad esempio l’Università di Brussels, dove il direttore dell’istituto è stato trovato colpevole di spionaggio, reclutamento di studenti come informatori e pressioni politiche, validando i sospetti di alcuni sinologi sulla strumentalizzazione politica dell’Istituto.
Network Museum – Come è percepita la cultura europea, ed in particolare quella Italiana, in Cina?
Giovanni Bottacini – Per mia esperienza c’è un grande interesse da parte della Cina verso l’italia. Le ragioni sono molteplici: la grande comunità sino-italiana (basti pensare a realtà italiane come Prato oppure Via Paolo Sarpi a Milano), una certa somiglianza culturale percepita tra le popolazioni dei due paesi, il fatto che l’Italia sia solo seconda al Regno Unito in numero di visitatori cinesi annui. L’Italia, per il cinese medio, rimane una terra culturalmente affascinante per il suo grande passato, a volte in maniera eccessivamente romantica. Purtroppo, l’impressione è che l’Italia non sia considerato un paese della cultura contemporanea, ma unicamente della cultura classica e rinascimentale, al massimo il paese della moda e del lusso contemporaneo. Non bisogna scordare, tuttavia, che è presente un certo interesse strategico cinese nella vicinanza tra Cina e Italia , come dimostrato dal memorandum dell’iniziativa “One Belt One Road” firmato durante il governo Conte I: ci sono chiari segnali dell’uso di una strategia “divide et impera” da parte della Cina in Europa e l’Italia pare essere un territorio molto fertile per questo tipo di iniziative.
Network Museum – Siamo abituati a cogliere la presenza cinese in maggior misura negli aspetti economici. Quale ruolo riveste la cultura nel panorama economico cinese? Quali diversità coglie con il modello europeo e con quello italiano?
Giovanni Bottacini – Come premesso, la cultura diventa anche uno strumento di soft power per influenza internazionale. Infatti, pur mantenendo un certo grado di controllo su cosa può essere esposto e cosa non deve esserlo, si vedono massicci investimenti in campo culturale per creare eccellenze locali che possano rivaleggiare con i mostri sacri della cultura: esempio chiaro è l’istituzione negli anni 2010 di una orda di nuove biennali locali, per dare tono alla produzione culturale cinese. Inoltre, ritengo che ci sia anche una chiara differenza tra il modello europeo e quello cinese: il secondo modello celebra la cultura tradizionale ma allo stesso tempo investe in cultura contemporanea, cosa che in Europa, ed in Italia in particolare, si vede sempre meno.
Network Museum – Quale evoluzione intravede nel confronto tra il modello culturale europeo e quello orientale?
Giovanni Bottacini – Ritengo che ci sia serio bisogno in occidente di de-orientalizzare e de-colonizzare la nostra prospettiva culturale sull’Asia in ambito dei musei nello specifico. Ad esempio, ricordo di avere visitato un noto museo milanese, la Galleria di Arte Moderna durante il Gennaio 2019, e di aver trovato un narghilè del XVIII secolo etichettato come “arte orientale.” Tuttavia questa tendenza non è unicamente italiana: una situazione simile è quella del Rijksmuseum di Amsterdam, criticato per l’apertura di un “padiglione asiatico”, dove si trovano campane cinesi in bronzo di oltre 2000 anni fa affiancati a ceramiche giapponesi di mille anni più tardi. Questi esempi rientrano nella tendenza, analizzata per primo da Edward Said (Orientalism, 1978), del modello museale e culturale europeo ed americano a dividere la cultura tra “nostra” e “altrui”, tendendo a semplificare quella altrui per renderla più digeribile. Chiaramente questo è un problema che colpisce anche i musei Cinesi e Giapponesi, ad esempio, in maniera speculare, i quali tendono anch’essi a semplificare la cultura “altrui” pur non vistosamente come negli esempi europei riportati.
Network Museum – Quali sono le prospettive professionali, che tali nuovi assetti richiederanno?
Giovanni Bottacini – Di conseguenza a quanto sopracitato, ritengo sia necessario aprire il campo anche a specialisti in cultura “altrui.” Per esempio, nel caso della GAM sarebbe necessario avere consulenze da figure specializzate nell’arte orientale per presentare efficacemente l’opera, evitando superficialismi. Nel caso del Rijksmuseum, invece, potrebbe essere interessante usare questi spazi per mostre tematiche incentrate sull’arte classica dei diversi paesi asiatici, anzichè creare uno spazio con una accozzaglia di opere bollate come asiatiche senza alcun obiettivo curatoriale. Perciò di nuovo, consultazione di figure professionali specializzate in tali settori.
Network Museum – Come è concepito il lavoro nel settore culturale in Europa ed in Cina, rispetto a quanto avviene in Italia?
Giovanni Bottacini – In realtà, essendomi laureato in Olanda ed avendo lavorato principalmente nel settore culturale tra Amsterdam, L’Aia e Rotterdam posso pronunciarmi principalmente per la situazione in questo paese. Nei Paesi Bassi la situazione del mercato del lavoro culturale non è ideale: come discusso precedentemente c’è una tendenza a concentrarsi sulla cultura tradizionale. Ciò comporta finanziamenti importanti per istituzioni già ben stabilite e attraenti per il turismo di massa, ad esempio il Rijksmuseum, e finanziamenti drammaticamente più bassi per le istituzioni pubbliche contemporanee, che spesso sopravvivono grazie ai volontari non pagati e stagisti anch’essi non pagati o con paga minima (150 euro al mese), istituzioni che, per esperienza personale, cito testualmente uno di questi lavoratori culturali “non potrebbero tirare avanti senza volontari e stagisti.” Inoltre, la prevalenza nei Paesi Bassi di contratti di “flex-work” o lavoro flessibile per mansioni come servizio al consumatore, comporta ben poche tutele per i lavoratori (ad esempio assenza di assicurazione sanitaria). La crisi Covid-19 ha inasprito ed evidenziato questa situazione, comportando ad esempio lo scandalo del licenziamento in piena pandemia degli impiegati del museum shop e cafè di Het Nieuwe Instituut una nota istituzione contemporanea “radicale” e “socialmente impegnata” di Rotterdam, facendo leva sul loro contratto “flessibile.”
Network Museum – Come giudica il sistema museale nazionale e, in genere, il sistema di diffusione della cultura in Italia? Quali differenze riscontra rispetto all’estero?
Giovanni Bottacini – Come discusso in precedenza, ritengo che il sistema museale ci sia, ma che ci sia un disperato bisogno per i musei italiani, invariabilmente se di cultura tradizionale o contemporanea, di utilizzare nuove strategie per la diffusione della cultura, con uso massiccio di nuovi media, affiancato alle mansioni più tradizionali dello status dei musei. In ciò è evidente la differenza con un certo numero di musei olandesi, dove, nonostante le problematiche sopra-discusse, vi è un serio tentativo di uscire dal ruolo tradizionale di museo unicamente come “spazio sacro.” Con utilizzo degli spazi in maniera diversa e la ricerca di nuove vie per la diffusione culturale.
Network Museum – Come immagina il suo futuro…?
Giovanni Bottacini – Domanda difficile, alle porte del rallentamento economico più grave dai tempi della grande depressione! Al momento sto pianificando il lancio del mio blog semi-serio sulla cultura contemporanea con focus sulla cultura “pop” odierna, con una attenzione specifica per la cultura “Trash” o “bassa” sopracitata. In futuro spero di avere la possibilità di approfondire la mia ricerca nella cultura “bassa” in Cina.
Network Museum – …e, alla luce di quanto sino ad ora espresso, quello dei musei?
Giovanni Bottacini – Nel futuro del sistema museale spero di vedere una seria svolta de-coloniale, una trasformazione delle strategie di diffusione culturale ed una apertura intelligente verso la cultura “bassa.”
Network Museum – Ora la domanda collegata al tema dell’anno: come influiscono i musei sul processo di configurazione esistenziale delle persone?
Giovanni Bottacini – I musei sono stati utilizzati da lungo tempo come spazi per la creazione di una narrativa: nell’età moderna nello specifico i musei di arte classica, ad esempio, hanno dimostrato in generale una narrativa incentrata attorno alla creazione di un ideale di cosa significhi l’essere di una certa nazionalità basandosi su produzioni artistiche pre-moderne. Qual è allora la narrazione dei musei in età contemporanea? I musei di stampo tradizionale hanno sicuramente ereditato la loro missione “nazionalista” con una serie di accorgimenti orientati verso la contrapposizione della cultura ”altrui” alla “nostra” cultura, come già citato. Tuttavia, per i musei di stampo contemporaneo, la missione dovrebbe essere quella di rendere noto al visitatore la sua posizione e il suo raggio d’azione nel mondo, sottolineando le ipocrisie e le ingiustizie dello spazio sociale, nel qui e nell’ora.
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Coordinate di questa pagina, fonti, collegamenti ed approfondimenti.
Titolo: “Un curioso della cultura contemporanea alla corte del Celeste Impero”
Sezione: “NM Storie”
Autore: Network Museum
Ospite: Giovanni Bottacini
Codice: INET2101041600MAN/A1
Ultimo aggiornamento: 04/01/2021
Pubblicazione in rete: 4° edizione, 04/01/2021
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: Network Museum
Fonte immagine: veduta di via Paolo Sarpi a Milano – https://www.ilfoglio.it
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