Quando una espressione tradisce le opportunità non colte.
Intendiamoci: qui nessuno vuole denigrare oppure offendere. Fermo restando che personalmente mi ritengo onorato di appartenere al regno animale, a volte molto di più che essere annoverato tra i membri del consorzio umano, quanto desidero esprimere con queste inutili righe è un sentimento di tenerezza nei confronti di tanti bravi Colleghi, che operano nell’ambito museale e culturale. È una suggestione, una chiosa professionale, tra l’ironico, l’irato ed il benevolo. Un sentimento, perché anche chi fa ricerca ha un cuore!!! (Cortesemente si noti il pathos!)
L’immagine, di cui doverosamente riporto in calce l’indirizzo del sito, da cui è stata tratta, è quella che meglio esprime la risposta alla nostra presentazione, quando incontriamo dei Colleghi o ci palesiamo loro in occasione di attività promosse dai loro musei più o meno con tale tono: “…e la nostra redazione scientifica le ha inviato qualche tempo fa una comunicazione. Si ricorda quella in cui all’inizio del testo spiegavamo che non fosse una lettera promozionale, ma una corrispondenza mirata, per cui chiedevamo, se non una risposta, almeno un cenno di avvenuta ricezione?“.
Ecco che scatta l’espressione foriera di malcelati e contraddittori pensieri: “Eppure non ricordo di aver firmato nulla“, “Il corriere non mi ha lasciato alcun avviso sulla porta“, “Vuoi vedere che quello stupido del mio collega si è dimenticato di dirmi di questo tipo?“, “E questi, adesso, chi sarebbero e cosa vogliono vendermi?”, “E dai che devo andare a recuperare mio figlio dai nonni!“, “Uhm…ecco cosa mi ricorda il logo sul biglietto da visita“, “…Ma allora sono innocui!“, “Certo non è bello, cerca pure di farmi ridere, strano è strano, ma sembra un brav’uomo“, “Come hanno fatto a conoscere il mio indirizzo di posta elettronica?“, “Però!!! Devono essersi accorti di quella mia attività di qualche mese fa!! Che carini!“, “Cosa significa pubblicazione scientifica?“, “Collaborare? Chi fu costui? (dedicato ai venticinque nostri lettori di eredità manzoniana)”: e questi solo i più comuni pensieri in un progressivo di sospetto, curiosità, benevolenza ed interesse.
Alla domanda: “Perché non ci ha confermato la ricezione, visto che ora ce ne assicura l’avvenuta lettura?“, la risposta quasi sempre è: “Sono stata occupata con le attività, sapesse come siamo oberati!”. Beh per pigiare un tasto e far fare un “click” al mouse non occorrono certo ere geologiche, eppure la paura scorre copiosa al di là dello schermo!!! (oppure vien meno il coraggio di dirci apertamente: “Ma chi pensate di essere, chi o cosa rappresentate, perché possiate essere considerati da noi!“, doloroso ma almeno nmeno ipocrita.)
Dopo aver estratto l’iceberg museale dalla folla appiccicosa del post attività, ecco il momento del disgelo e di una certa intimità professionale, fatta di comprensione, di dolcezza e, oserei dire, di “sentimento umano”. Come da copione il mio collega, che aveva recitato sino ad allora il ruolo del cattivo, si fa da parte e lascia fare alla mammoletta di turno (il sottoscritto), che si esibisce in una sessione psicoterapeutica del soggetto in questione volta a favorire la sua produzione di dopamina ed all’aumento dell’autostima professionale del medesimo.
Si riparte dalle generalità, dal cosa sia un istituto di ricerca come Infogestione, dal cosa sia Network Museum e perché cerchiamo di raccontare quello che i Colleghi dei musei realizzano all’interno delle loro bellissime sedi e di cui si apprezzano solo parte dei risultati e della fatica.
Ora è il momento di tornare seri.
La quasi totalità dei Colleghi contattati prova un sentimento sospeso tra interesse e timore, tra opportunità per molti sconosciuta ed incredulità che il risultato delle loro azioni abbia potuto riscuotere qualcosa di così significativo come se le pubblicazioni “Science” o “The Lancet” considerassero un lavoro del Massachusetts Institute of Technology. In tal senso abbiamo registrato negli anni come non sempre il concetto di “pubblicazione scientifica” e di prassi ad esso relativa siano nitidamente presenti nel settore museale, soprattutto nei settori della didattica, del management e della comunicazione. Lo stesso valga per l’attitudine alla collaborazione, aspetto vincente della nostra specie non sempre colto dal settore culturale. A volte pare di interloquire con coloro che vedono la Genova della celeberrima canzone di Paolo Conte: con una faccia un po’, come dire, “così”, con una espressione, anch’essa un po’ “cosi”, propria di quelli della campagna al cospetto della superba Genova e del suo mare. (Per i più giovani, che non conoscono Paolo Conte e neppure il compianto Bruno Lauzi, in calce al corrente articolo la riproduzione della mirabile canzone dalla sublime lirica). Sovente non se ne fa nulla: sorrisi di circostanza, qualche complimento e torna tutto come prima, ma quell’attimo di considerazione, quel lampo appena balenato di stima reciproca, di desiderio di vera espressione e comprensione di un ruolo, che malgrado la propria tracotante autoreferenzialità non produce i risultati desiderati in termini di consapevolezza ed autodeterminazione degli autori, delle genti, di tutti e di ognuno, è impagabile. Ci fa sentire opportuni, utili, ci ripaga di tante porte sbattute in faccia o, peggio, di tante richieste di interviste mai considerate, di tante proposte disattese, di tante collaborazioni mai nate e di qualche idea malamente scippata.
Questa copertina, non serve a nulla. Non serve a presentare teorie o sensazionali scoperte nella didattica o nell’organizzazione museale. Questo spazio non è pensato per questo. Serve a “cincischiare”, a ricordarsi la bellezza del percepire il ruolo buffo delle situazioni, l’importanza di non prendersi troppo sul serio, del ridersi addosso, della sterile polemica, che ho ereditato a piene mani dalla genovesità materna. Anche questa è parte del bagaglio di un ricercatore, che deve trovare nella ironia e, soprattutto, nell’autoironia, la sua più fedele alleata. Eppure durante un interessante incontro, svoltosi a Torino l’11 maggio scorso, presso il Teatro Carignano, tra il premio Nobel, Orhan Pamuk, ed il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, si è parlato, anche e forse soprattutto, del come “fare ed essere musei”. Queste altro non sono che espressioni epistemologico-organolettiche di un comparto, che, grazie ad illuminati direttori, inizia ad avere l’umiltà di rendere conto a se stesso ed alla collettività del proprio ruolo. Noi di Infogestione Network Museum lo facciamo, lo proponiamo e desideriamo condividerlo dal 1997.
Concluderei questo sospiro di tenerezza museal-culturale con i versi del poeta Paolo Conte, tratto dal testo della celeberrima citata canzone, pregando i Colleghi del settore di rifletterci un po’, quando si troveranno nuovamente tra il loro pubblico ed in quel mare di teche e di tempo che più che spazio, come asserito da Orhan Pamuk, io, umilmente, sostengo si faccia materia ed in essa collochi la sua epifania: per tutti, con tutti e di tutti.
“…Eppur parenti siamo un po’
Di quella gente che c’è lì
Che in fondo in fondo è come noi, selvatica
Ma che paura ci fa quel mare scuro
Che si muove anche di notte e non sta fermo mai…“.
Ad maiora, ad maiora!
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Titolo: “Con quella faccia un po’ così…”
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Ospite: –
Codice: INMNET2405220900man/A1
Ultimo aggiornamento: 23/05/2024
Pubblicazione in rete: 6a stagione, 22/05/2024
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: Network Museum
Fonte immagine: https://www.objectsmag.it/
Fonte video e contenuti multimediali: https://www.youtube.com/watch?v=6xULwPM–KY&t=42s
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