In vino…historia!



Francesco Mondini – È una persona di sessantacinque anni, che ha dedicato gli ultimi suoi venticinque all’archeologia sperimentale, per riprodurre quello che poteva essere il vino degli antichi Etruschi. A seguito di vari reperti trovati e studiati abbiamo scoperto, che quell’antica popolazione produceva il vino, utilizzando anfore coibentate. Partendo da questo primo dato ho cominciato a ripercorrere le varie fasi di una vinificazione lontana nel tempo, per riportare in vita un vino arcaico. Io non sono né agronomo né enologo, ho solamente una grande passione per la natura. Affronto progetti ed impegni con dedizione e costanza, qualità che mi hanno permesso di condurre e portare a successo questa attività di recupero archeologico di processo, malgrado le difficoltà e le incomprensioni iniziali. Mio nonno, quando ero piccolo, mi ha trasmesso la capacità di ascoltare la natura e di capire cosa occorra per aiutarla nel suo sviluppo in modo non solo sinergico, ma addirittura armonico. Accogliere questo lascito generazionale non è stato facile: i nostri nonni tendevano ad essere quasi burberi, ad insegnare al limite della intransigenza i loro antichi saperi: gli “sta zitto, impara e fa così” erano all’ordine del giorno. Col passare del tempo, però, tutta quella preziosa eredità è riaffiorata nella mia mente e, soprattutto, nel cuore, procurandomi una incontenibile esigenza di radicale cambiamento di vita. Ero titolare di una azienda, che contava ventun persone. Viaggiavo per lavoro per tutta l’Italia, ma ero la persona più infelice del mondo, perché non riuscivo ad esprimermi. Adesso sono libero. Non ho più un conto in banca, non ho legami burocratici con nessuno. Mi sveglio la mattina e mi dedico a quello che, attraverso la mia attività da agricoltore vitivinicolo, la natura mi chiede. È pur vero che per vivere occorrono i soldi e conducendo questo mio nuovo stile di vita il reddito ne ha un po’ risentito, ma, oggi, a sessantacinque anni la qualità dell’esistenza è ciò che vale. Io ricerco proprio questo e tale libertà coincide con la possibilità di esprimermi e di dedicarmi alle cose che mi piacciono.

Francesco Mondini – La cultura è fondamentale, perché senza cultura non si avanza, non si progredisce in nulla. Come si dice: “a spanne non si fa niente”, per cui è necessaria la conoscenza, per poi decidere come e quando applicarla. Senza conoscenza, però, non si va da nessuna parte. Anche su questo versante ho dovuto fare molta fatica. Ho riscontrato nelle persone molta chiusura, soprattutto nella collaborazione: o vai a fare i soliti corsi oppure non nessuno ti spiega nulla. Non c’è collaborazione. La cultura è stata fondamentale, è stata il motore, che mi ha permesso di portare avanti un progetto, per cui da sempre ho nutrito passione. Venticinque anni fa ho cominciato a leggere libri, a studiare, a partecipare a scavi con archeologi e geologi proprio perché mi stavo approcciando ad un mondo completamente diverso da quello a cui ero abituato. Collaboravo anche con un dottori in agraria ed enologi, collaborazione che terminò dopo due anni, perché per certi professionisti l’enologia è aggiungere qualche cosa per modificare il risultato della natura. Per me, invece, l’enologia è il sistema di perfezionamento, per trovare la correzione a piccoli errori, derivanti dal fatto che ogni anno è diverso il risultato del processo naturale di vinificazione, senza, però, ricorrere sistematicamente ad interventi, tendenti a snaturare il risultato della vendemmia. Ho capito che non è possibile da parte dell’enologia assecondare una metodologia atta ad esprimere gli originari, i tipici ed armonici canoni della modalità di vinificazione che propongo, per cui oggi non mi avvalgo più dell’enologo. Ho, comunque, collaboratori amici e, soprattutto, persone con cui condivido i saperi scoperti e necessari per tale attività, che mi aiutano nel fare progredire questa tecnica: ogni giorno c’è una scoperta, ogni giorno c’è un confronto, ogni giorno si può aprire un dibattito e questo è fondamentale.

Francesco Mondini – È uno dei posti più belli al mondo. Non si può costruire un futuro senza conoscere il proprio passato o comunque la storia in generale. Il museo è quello che potrebbe fotografare le varie ere e riportarle al pubblico. Ma, sovente, è una stanza vuota non organizzata, con i reperti a volte senza adeguate didascalie. È un posto dove la cultura e, soprattutto, la nostra storia è presente. Io li aprirei in altro modo, li renderei più vivi, più vivaci, più aperti ai giovani, in particolare, meno diabolici, meno problematici. Cercherei di eliminare attese e code chilometriche oppure calendari disordinati. Il museo dovrebbe essere come un centro commerciale: sempre aperto e disponibile, dove chiunque in ogni momento possa recarsi per acquisire cultura, come una biblioteca, un altro presidio culturale da potenziare. I musei sono luoghi sovente sottoutilizzati e dispersivi o, comunque, visitati soprattutto da turisti e non “frequentati”.

Francesco Mondini – La nostra storia è iniziata, come ho detto prima, venticinque anni fa. Avevo iniziato a frequentare archeologi ed ho avuto modo di conoscere l’ex direttore didattico del museo di Villa Giulia, Maurizio Pellegrini, che per me è stato un grande maestro, un grande motivatore. Ma non solo lui: anche altre persone hanno provocato in me la passione ad abbinare la natura alla storia. Stavo vivendo un periodo in cui desideravo cambiare qualcosa nella conduzione della mia azienda vitivinicola. Il metodo biologico mi sembrava più un espediente di marketing ed un sistema per fare “business” piuttosto che una realtà. Il sistema biodinamico lo apprezzavo per certi aspetti, ma, a causa delle nostre dimensioni, non ci è stato possibile proseguire su tale versante. Dovevo trovare una strada, una metodologia, che mi portasse alla realizzazione della mia idea. Passando dalla permacultura, alla fine l’ho trovata, l’ho perfezionata, ed è diventata un metodo, che sto portando ovunque, anche in Giappone. Questo sistema continuava ad essere dentro di me e mi spingeva a cercare di inseguire sempre le indicazioni del nonno, che si fondava sul criterio di fornire alla coltura, in maniera naturale, cosa servisse in un determinato periodo. L’abbinamento con la storia ha completato il quadro. È una materia che mi è sempre piaciuta, anche perché abito ad Arezzo una delle dodici lucumonie etrusche. Siamo situati sulle pendici all’inizio della Valle del Casentino, che è la Valle Sacra per gli Etruschi, da dove nasce il fiume Arno. L’area geografica di influenza etrusca si estendeva tra l’Arno ed il Tevere. Vivo, inoltre, a pochi metri da una vecchia vedetta etrusca ed a qualche chilometro da un’altra, il che significa che dove ora risiedo e lavoro transitavano gli etruschi più di 2700 anni fa, poiché in questa area passava la strada etrusca, che portava verso il mare Adriatico. Le vedette che ho citato fungevano da posti di ristoro e di controllo in caso di pericolo. Ricordo che comunque gli etruschi erano un popolo, che tendeva alla pace: i pericoli nella convivenza c’erano, ma non eccessivi. Tutto questo stato di cose ha risvegliato in me quesiti e desiderio di ricerca, portandomi ad esplorare le colline, dove sono situati i terreni della nostra azienda e, in particolare, varie testimonianze di vecchie strade lastricate, che avevano certamente ricalcato l’originario tracciato etrusco. La scintilla che ha acceso definitivamente la mia passione ed i miei propositi è stato l’aver maturato la consapevolezza che 2700 anni fa anche gli Etruschi producevano il vino, pertanto si sarebbe potuto fare rivivere un pezzo di storia: si sarebbe potuto riprodurre quel vino. Purtroppo ho cominciato troppo presto. Venticinque anni fa parlare vinificazioni “strane” in anfora era come bestemmiare e, infatti, sono stato boicottato anche dalle autorità. I permessi per produrre, per esempio, non arrivavano e non sarebbero arrivati per altri quattordici anni. Ecco, quindi, che posso dire che il nonno è stato saggio e fondamentale. Se non mi avesse trasmesso, oltre alla tecnica, una profonda passione, non avrei potuto resistere per quattordici anni, lavorando senza poter ottenere ricavi. Sono pure stato deriso. La costanza e la passione, però, mi hanno portato a superare anche quei tanti momenti di criticità. Oggi, però, sono qui a testimoniarvi che chi lavora la vince e che la storia fa parte di noi.

Francesco Mondini –  Il vino perché separare la parola “vino” da quella di “essere umano” è quasi impossibile. Ci sono reperti del10.000 a.C. circa nel sud America e non solo inerenti a fermentazioni di vino ma anche di altro, come, per esempio, il cacao. La storia dell’uva e del vino è, in realtà, la storia dell’umanità: il vino ha accompagnato l’uomo durante tutta la sua permanenza su questo pianeta. Già mio nonno produceva il vino. Io ho un fazzoletto di terra con solo mille viti, che vanno dai 60 ai 120 anni. Non sono certo i vitigni etruschi, sono certamente vecchi vitigni senza porta innesto, a piede franco, comunque, anch’essi con un pezzettino di storia. A me il vino piace e mi piace sia naturale. Se bevo un litro di vino al giorno, di quello diciamo “convenzionale”, dopo 10 anni incorro nella cirrosi epatica. Il vino è un alimento: occorre assumerlo in maniera naturale. Ecco che ho congiunto le due mie passioni: la natura e la storia, riproponendomi di riprodurre il vino degli Etruschi, per quello che si poteva fare, ovviamente. Oggi è presuntuoso dire di aver riprodotto perfettamente la produzione etrusca: l’acqua non è quella del tempo, così la vite, neppure io non sono etrusco e la terra non è quella di allora. Così per le anfore, che si sono potute ricostruire grazie ai vasi raffigurati nei dipinti delle necropoli. I reperti a cui fare riferimento sono molto pochi, per cui anche le ricostruzioni sono state personalizzate ed adattate. Le stesse procedure di vinificazione sono frutto di ipotesi tratte dallo studio dei resti rinvenuti nei siti archeologici, poiché non sono di certo pervenuti a noi metodi scritti. Dopo quindici anni nel 2015, partecipando ad un programma televisivo, ho presentato la mia esperienza di vinificazione e ho depositato la mia metodologia, a cui ho dato il nome di “Metodo Mondini”.

Francesco Mondini – Quando nel 2001 ho cominciato a fare il primo vino, sono andato a chiedere i permessi sanitari per essere abilitato e per poterlo commercializzare: ho trovato tutte le porte sbarrate. Nel 2000 parlare di vinificazione in anfore e di invecchiamento sotto terra era una bestemmia. Tant’è vero che i vertici mi dicevano che il vino si faceva in cantina, nelle botti. Questo stallo si è protratto per quattordici anni, durante i quali mi sono venduto anche i calzini, per portare avanti un progetto, in cui credevo. A livello di burocrazia, di assistenza e di aiuti non abbiamo ricevuto assolutamente niente se non boicottaggi. Nel 2014, finalmente, siamo riusciti ad ottenere il consenso dell’ASL ed i vari permessi burocratici per poter essere riconosciuti e poter vendere il vino. Però ciò che realmente ha dato la svolta al progetto è stato, nel 2019, la vittoria ottenuta al concorso promosso da “La Fabbrica nel Paesaggio”, patrocinata dall’Unesco. Ci siamo aggiudicati due criteri su tre per diventare patrimonio dell’umanità e, grazie a Dio, è stata una bellissima soddisfazione, soprattutto se pensiamo che erano in concorso progetti veramente milionari. Quando alla direttrice Gabriella Righi, una ragazza di 80 anni, ho chiesto perché fosse stata selezionata la proprio mia azienda agricola su150 imprese in Italia, mi ha risposto che la ragione risiedeva in “Quel pizzico di follia che la rende unico ed irripetibile: con i soldi sono capaci tutti, ma senza è la persona che fa la differenza”. Questo me lo porterò dentro con riconoscenza finché vivrò. Il premio è stato proprio l’input per cambiare: il mio procedimento era finalmente stato riconosciuto, soprattutto. Da quel momento ho potuto rapportarmi con enti e persone in maniera diversa. Ho iniziato a ricevere varie richiesta anche da parte delle università, il che ha permesso l’avvio di proficue collaborazioni, come quella con l’università di Siena e con l’ateneo di Pisa, con cui conduciamo un progetto sul monitoraggio delle viti. Abbiamo anche avviato relazioni con l’Università di Bologna, che ci hanno permesso di essere riconosciuti e pubblicati nei libri. Resta però il fatto che in Italia, purtroppo, le piccole iniziative non solo non sono considerate, ma sovente vengono proprio escluse a prescindere.

Francesco Mondini –  È certamente un bel mix, penso. Di sicuro l’aspetto culturale ed archeologico, oltre a quello agricolo, è molto sentito da noi, direi fondamentale. Vivendo in una lucumonia la storia mi ha portato a studiare come gli Etruschi potevano vinificare. Per quanto concerne l’archeologia non solo ci teniamo costantemente aggiornati, ma, addirittura, come peraltro ho già fatto varie volte, parteciperò a dei nuovi lavori di scavo vicino a Scarlino, proprio per prendere parte e capire cosa significhi trovare reperti e ricostruire quello che poteva essere la storia. Per cui ribadisco che ciò che noi facciamo ed offriamo è un mix di cultura, ricerca e produzione. Tant’è vero che sostengo sempre di non produrre una bottiglia di vino, ma realizzo un pezzo di storia vinificato, per riportarci o almeno avvicinarci a quei sapori antichi. Consideriamo, però, che se oggi ottenessimo con precisione il prodotto originario etrusco, questo sarebbe imbevibile o, comunque, non gradito forse al nostro palato. Come ho già affermato, non potendo avvalerci delle esatte circostanze e degli esatti costituenti di migliaia di anni fa, ciò che otteniamo è, per forza di cose, riportato ad un gusto moderno, ma comunque ricavato attraverso un procedimento verosimilmente coerente con quello dell’antichità.

Francesco Mondini – È pressoché nullo, perché l’unica cosa che ci permette di procedere con il nostro progetto è un filo conduttore che ci unisce, soprattutto a livello personale, con persone di valore, con cui puoi costruire qualcosa. Gli unici enti con cui collaboriamo sono i musei, che, come abbiamo detto prima, sono la patria della nostra storia. Con tali istituzioni organizziamo molti eventi come l’ultimo in ordine di tempo presso il Museo di Antichità dei Musei Reali di Torino, dove c’è stata la presentazione del libro a “Tavola con gli Etruschi”. Con tante istituzioni museali diamo vita a serate, per mantenere viva la cultura etrusca ed il sistema di vita di un popolo, che considerava paritario il rapporto tra donne e uomini, in cui anche la stessa schiavitù era caratterizzata da espressioni di umanità e l’attività bellica non era un fondamento etnico. Forse anche per quest’ultima caratteristica l’assimilazione romana è avvenuta con una certa facilità.

Francesco Mondini – Tornando un attimo indietro, attraverso il concorso indetto da “La Fabbrica nel Paesaggio”, ho precisato prima di aver ricevuto due criteri su tre per diventare patrimonio dell’Unesco. Il mio sogno, il mio desiderio più grande è quello di cercare di scrivere un pezzo di storia, per cui riuscire ad ottenere il terzo criterio, che contempla il livello di condivisione di quanto proposto. Essendo l’unico al mondo a produrre vino secondo il mio metodo, non posso essere riconosciuto come patrimonio dell’Umanità. Se, invece, espandessi la nostra vinificazione, che ho protetto con copyright 2015 come “Metodo Mondini” solamente per un dettaglio tecnico, in quanto i criteri e le misure per le coibentazione delle anfore sono le mie, e riuscissimo a creare un sistema diffuso di vinificazione unico al mondo, a quel punto potremmo ricevere il terzo criterio. Sto perseguendo tale diffusione attraverso rapporti di collaborazione con piccoli vignaioli, che presentino prerogative fondamentali quali: vigneti vecchi, abbandonati o distrutti, non certo ad alta applicazione di sostanze chimiche, a cui possano interessare il “Metodo Mondini” o comunque la vinificazione etrusca in anfore coibentate. Teniamo presente che il vino lo si fa spremendo l’uva: in realtà nessuno ha inventato nulla. Quello che cambia è che 2.700 anni fa lo facevano in anfore, che venivano sotterrate, perché gli etruschi non conoscevano l’uso delle cantine. È un sistema molto difficile, pericoloso e costoso: non tutti se la sentono di adottarlo. Tre anni fa ho costituito l’associazione di “Vinum Temetum”, con la quale sto cercando di diffondere la vinificazione etrusca. Adesso l’associazione vanta tre associati e, probabilmente, a breve dovrebbe aderire anche un giovane coltivatore di Torgiano, vicino a Perugia, interessato al processo. Diffondere significa cercare di condividere un sistema di vinificazione arcaica, una maniera naturale di produrre vino, i cui benefici ricadono sulle persone, sui consumatori. Ricordiamo che il vino è un alimento: se è prodotto con modalità naturali e consumato in quantità ragionevoli non fa altro che bene, se lo si compra artefatto potrebbe arrecare danno alla salute. È importante, perciò, diffondere, un principio etrusco, ovvero la tradizione di un popolo caratterizzato dalla grande armonia con la natura. Trovare piccoli vignaioli con cui condividere spirito e tecnica ci permetterebbe di costruire in Toscana un sistema unico ed irripetibile.

Francesco Mondini – Terminando un’attività e cominciandone un’altra tutti i miei risparmi sono stati investiti per resistere nei quattordici anni durante i quali l’ASL e l’ordinamento burocratico non mi hanno concesso i permessi per produrre e commercializzare il vino. Ho investito tutto nella produzione e nel capire come poter creare un prodotto, che incontrasse il gusto del mercato, per cui, quando mi sono ritrovato ad avere le autorizzazioni, non avevo un centesimo per promuovere la mia produzione. Qui ho incominciato ad avvertire il secondo problema. Pensavo di averne una bomba commerciale in mano, ma mi sono accorto che a nessuno interessava, perché quando io parlavo del vino e della cultura etrusca la gente mi rispondeva che era Giulio Cesare. Ho dovuto “educare” e presentare il mio metodo ed il mio prodotto attraverso il passaparola: un cliente ne ha portano un altro e così via, in modo estremamente lento. Dobbiamo anche considerare che ci sono stati due anni di Covid, che hanno compromesso molto i rapporti sociali nel mondo. Oltre alla diffusione verbale per conoscenza, che è stata la modalità più utile, c’è stato l’apporto dei musei, che mi hanno aiutato moltissimo, soprattutto dopo l’assegnazione del riconoscimento da parte de “La Fabbrica nel Paesaggio”, che realmente mi ha cambiato la vita. La distribuzione sul mercato è soprattutto veicolata tramite i privati, che vengono a conoscenza della nostra realtà attraverso Internet. Interessati dal nostro metodo di vinificazione unico, decidono di farci visita ed acquistare. Tale modalità è particolarmente attiva nei periodi di vacanza, nei mesi estivi o in concomitanza dei flussi turistici. Per il resto devo dire che in Italia non ho riscosso nessun particolare interesse ad eccezione di due o tre ristoranti stellati, che hanno capito il prodotto e possono presentarlo per quello che è. Malgrado ciò ci riteniamo fortunati in quanto clienti da ogni parte del mondo ci hanno fatto visita. Tramite loro abbiamo potuto stringere le nostre piccole relazioni commerciali. Le definisco piccole perché produciamo 1.500 bottiglie l’anno con tre tipi di vino, sì che sono 450 bottiglie per tipo. Questo aspetto ha penalizzato i rapporti con gli importatori, che necessitano di quantità ben superiori. Pertanto, al momento, i nostri canali di distribuzione sono costituiti dai rapporti con i privati, con i musei e gli stranieri.

Francesco Mondini – Dico sempre che i clienti non mi servono: a me serve un partner, con cui comunicare sulla stessa lunghezza d’onda. È un vino così particolare, totalmente differente agli altri, che per venderlo occorre comprendere ed abbracciare il progetto. Se non si capisce cosa si stia vendendo, essendo il nostro, inoltre, anche un prodotto abbastanza costoso, si rischia di rendere sterile e banale l’azione commerciale. Ecco perché cerco partner e non clienti. Ma anche nella scelta dei partner occorre applicare una selezione: è necessario, per esempio, rispettare l’esclusiva territoriale, come per le grandi città: a Firenze abbiamo un partner per la distribuzione, così come a Venezia ed a Milano. Occorre tener presente che anche con i partner il rapporto è particolarmente delicato. Si basa tutto sulla fiducia. Essendo noi i detentori di un metodo unico, fatto derivare da una ricerca storico – archeologica, non abbiamo contraddittorio né concorrenza in grado di confutare la nostra qualità: ecco il grande affiatamento e la fiducia, che deve contraddistinguere il rapporto con i nostri partner. Quanto si origina, quindi, esula dalle normali relazioni commerciali, esce anche dell’ambito di lavoro: nascono, così, delle belle situazioni amichevoli. Non solo lavoriamo, ma assieme stiamo realizzando un percorso. Anche per quanto riguarda l’utente finale, con cui lavoriamo soprattutto in ambito turistico, si assiste alla nascita di rapporti di amicizia vera. Molte persone che ci vengono a trovare sono già predisposte verso i concetti di armonizzazione con la natura e quando parlo degli Etruschi, del loro mondo e del loro sistema di vinificazione, unico ed irripetibile, rimangono entusiasti ed il rapporto di amicizia si protrae nel tempo, grazie anche ai nuovi sistemi di comunicazione, che ci permettono di restare sempre in contatto con i nostri amici-clienti. Non perdiamo, inoltre, occasione di comunicare loro le altre tipologie di produzione della nostra azienda, che non si limita al vino, ma anche olio e miele, che da molti è definito addirittura “unico”. Annoveriamo clienti da tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Burkina Faso, ma la cosa più bella è il rapporto che si protrae anche oltre la prima visita: ci chiamano, ci scrivono, con qualcuno sono in contatto da oltre dieci anni e quando vengono in Italia non mancano di venirci a trovare.

Francesco Mondini – Anche di questo ne abbiamo un pochino parlato. Il progetto fondamentale è diventare patrimonio dell’umanità. Il mio unico scopo adesso è quello di scrivere un pezzo di storia, che sarebbe il coronamento di tanti anni di sacrifici e, soprattutto, rappresenterebbe una rivincita per aver costruito qualcosa di diverso e particolare.

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