A cura della redazione di Network Museum
“Oltre l’idea di accessibilità”, la sezione di NM dedicata a cogliere la prospettiva delle persone con limitazioni e diversità sensoriali, ritorna dopo molti mesi di assenza, non solo attribuibile alla chiusura per pandemia.
Dopo qualche “delusione”, attraverso le quali, purtroppo, abbiamo compreso come il cinismo dell’arrivismo e dell’opportunismo non risparmi nessuno e, come terrifico virus, possa infettare anche coloro, che, più di qualsiasi altro, dovrebbero aver terrore e nausea di chi usa per fini utlitaristici anche le condizioni di vita più sfavorevoli, riprendiamo la nostra ricerca.
Non saremmo coerenti con la nostra scelta etica se , nel nostro ifinitamente piccolo, rifiutassimo di credere che, oltre a quei tanti falliti, cinici, ipocriti opportunisti e mestieranti dell’accessibilità e dell’inclusività, possa esistere, così come esiste, tutto un mondo, meno salottiero, meno vezzoso e sorridente, ma più onesto, entusiasta e concreto, che crede possa veramente esistere, come espresso dal motto del nostro istituto, una cultura “di tutti, per tutti e con tutti”.
Con tale rinnovato spirito “Oltre l’idea di accessibilità” riapre i battenti, ospitando l’esperienza di Jessica Boffa, International Art Curator del progetto Museum of Childhood Ireland.
Jessica Boffa
Specilizzata nell’ambito storico-artistico dei beni culturali, la sua esperienza nasce nell’ambito dell’Educazione Museale e dell’Accessibilità, per poi espandersi ed arrivare alla Curatela. Dopo un’iniziale esperienza nella gestione della realtà museo e delle sue fasi di conduzione, nonché del coordinamento e del training di risorse, si è rivolta alla didattica museale, ampliando le sue conoscenze attraverso vari corsi di formazione su tutto il territorio nazionale. Avendo consolidato le sue capacità attraverso l’ideazione ed il coordinamento di programmi specifici per le scuole, si è dedicata all’ambito dell’Accessibilità; i suoi programmi sono confluiti in una serie di manifestazioni divulgative in collaborazione con vari partners e realtà museali, nelle quali sono stati realizzati. Infine l’International Art Curator per Childhood Museum Ireland Project, per cui cura la mostra relativa al Project 2020, coordina le attività in ambito storico artistico del museo, in Europa e negli Stati Uniti, e consolida le leads, che il museo ha nel mondo.
Ulteriori fonti ed informazioni sull’Ospite:
– https://www.linkedin.com/in/jessica-boffa-6666a4165
– www.museumofchildhood.ie
Network Museum – Chi è Jessica Boffa?
Jessica Boffa – Sono una delle tante professioniste del mondo dell’arte e dei musei e la dimostrazione che, con costanza e perseveranza, SI PUÒ raggiungere qualcosa in questo settore. Non sono mai stata un’amante dei titoli, sono di solito più occupata a fare un buon lavoro piuttosto che pensare a come presentarmi: il mio campo d’indirizzo è la storia dell’arte, la mia specializzazione è la didattica museale rivolta all’accessibilità ed alla curatela. Ma questo non mi definisce: sono innanzi tutto grande sostenitrice del fatto che è primariamente il capitale umano lo scheletro dell’ambito culturale e, per quanto questo possa essere difficile per le ragioni un pò note a tutti, “prendo in prestito” una citazione che per me, per la mia esperienza e per il mio vissuto è assolutamente calzante.
Fino a qualche tempo fa, ho creduto nella verità del detto: “Un bastone e un sorriso possono superare qualsiasi difficoltà“, ma poi la mia ulteriore esperienza mi ha rivelato che, in genere, si può lasciare a casa il bastone.
Network Museum – Cos’è la cultura per Jessica Boffa?
Jessica Boffa – Quando si parla di cultura, si parla di patrimonio tangibile e intangibile che ci portiamo dietro, o meglio, dentro, dopo millenni di tradizioni, costumi e usanze, che ci sono state tramandate, formando una “maglia”, che a sua volta s’intreccia con altre “maglie” di persone e territori, andando a comporre un’unica trama “contaminata”, che origina il nostro tessuto sociale.
Innanzi tutto, la cultura è di tutti. Proprio da questo presupposto bisognerebbe partire quando si fa progettazione, sia che ci si occupi di allestimenti che di offerta didattica: la cultura è di tutti e per tutti deve essere accessibile. Ma è il linguaggio, non i contenuti, che va adattato: quando si parla di persone con bisogni speciali, ci si rivolge ad una fascia di pubblico molto precisa: perché solo a loro? I fruitori che non hanno gli strumenti sociali, economici o culturali per capire appieno i contenuti di un museo, non hanno forse anch’essi bisogni speciali? E quando i contenuti sono accessibili a tutti, è necessario sapere che tipo di pubblico abbiamo davanti? Quando l’offerta culturale è inclusiva, è inclusiva per tutti.
Network Museum – Cos’è un museo ed a cosa serve?
Jessica Boffa – Il museo è, innanzi tutto, una raccolta di testimonianze di civiltà. Mi piace molto questa definizione, perché trovo che racchiuda in sé un senso più ampio: non è solo il luogo dove le testimonianze relative ad un periodo, ad un artista o ad un territorio vengono raccolte, catalogate e rese accessibili, ma è anche il luogo di testimonianza del capitale umano, di cui tali opere sono risultato ed espressione. Contenuto e contenitore quindi, di storie umane immateriali e testimone del suo tempo, prova tangibile dell’ingegno umano. Il museo, a mio parere, ha prima di tutto uno scopo didattico, nel binomio docente-discente: educare senza escludere, docere nel vero senso di “insegnare” contenuti dalle collezioni, affinché possano essere destinate ad un pubblico “che impara” lezioni di civiltà. Credo che il museo sia entità viva, che “pulsa”, e che insegni lezioni di vita, interagendo in maniera attiva con il suo pubblico e, attraverso gli strumenti utilizzati, rendendosi “attore” verso il pubblico stesso, coinvolgendolo, fino al punto di farlo diventare parte fluida ed integrante del proprio processo di maturazione. Trovo fondamentale sottolineare come, indipendentemente dalla propria natura, sia importante il ruolo sociale che esso ricopre: è un modello di società, sia che riporti testimonianza di una passata o presente sia che si modelli intorno a quella che gli sta intorno, includendo in questo caso tutti gli strumenti, di cui si serve per “proiettarsi” al di fuori delle proprie mura.
Network Museum – Cos’è l’accessibilità e cos’è l’inclusione?
Jessica Boffa – Quando si parla di accessibilità, trovo riduttivo destinare la definizione ad una fetta di pubblico “selezionato” in base a canoni predefiniti ed incasellarla come necessità per persone con bisogni speciali. L’accessibilità dovrebbe essere il fattore sine qua non quando si parla di progettazione, o anche solo di contenuti, rivolti all’ambito museale. Perché anche volendo parlare “da manuale” e includere come pubblico, che necessita di strumenti specifici all’interno del range, che va sotto il nome di “bisogni speciali”, chi detiene veramente questo titolo? Ho letto sovente della “paura della soglia”, di questo timore reverenziale che talvolta l’ambito culturale in tutte le sue manifestazioni incute in una fascia di utenti, spesso sprovvisti di strumenti sociali, economici, culturali che guardano all’istituzione come reliquiario da venerare, ma perché? Non è forse il museo fatto dagli uomini per gli uomini, contenente testimonianze di civiltà? Tra mille anni, un piatto delle nostre tavole potrebbe essere recuperato ed esposto come testimonianza di civiltà: allora chiunque lasci traccia di testimonianza del proprio tempo farà parte di un museo detto tale, o di qualunque mezzo l’uomo usi per ricordare a se stesso chi era. Non è quindi questo un bisogno speciale? Quello di far comprendere che il museo appartiene a tutti e da tutti deve essere vissuto. Come ho ripetute più volte, per me si parla prima di tutto di testimonianze di civiltà, e le sue manifestazioni servono a educare, “tirando fuori” contenuti da portare alle nuove generazioni: edifici, allestimenti, le opere stesse a volte, a causa di terminologie complesse, contenuti ricercati, allestimenti moderni, spesso rendono difficile ad un bambino il compito di comprendere o anche solo vedere, figuriamoci osservare un’opera. Ebbene, la necessità delle nuove generazioni d’imparare dalle testimonianze di civiltà delle generazioni precedenti, in una maniera che sia loro accessibile, non è forse un bisogno speciale? Mi è piaciuta molto una frase che ho sentito ad un corso da me frequentato, nell’ambito dell’accessibilità museale rivolta alle persone diversamente abili: tutti siamo, a modo nostro, diversamente abili e tutti abbiamo dei bisogni speciali che vanno soddisfatti; non sono “io” che devo adattarmi all’ambiente, ma è l’ambiente che deve diventare inclusivo. Inclusione, ancora una volta usata in binomio con accessibilità: inclusione è il fine ultimo di un processo ben fatto mirato all’accessibilità; ovvero includere tutto il pubblico, indipendentemente da sesso, età, etnia, cultura, religione all’interno del processo formativo e dello scambio di contenuti.
Network Museum – Cos’è un Project Manager Education and Museum Accessibility Curator?
Jessica Boffa – La mia vita lavorativa mi ha portato a ideare, coordinare e gestire progetti sopratutto nell’ambito dell’Educazione Museale e dell’Accessibilità; è qui che ho potuto imparare ed affinare le mie capacità e integrarle con ambiti interdisciplinari quali l’Arteterapia, la Psicologia e la Psicoterapia. Quando metto a punto un programma, cerco di considerare più punti di vista possibili, mi avvalgo di opinioni provenienti da diversi settori: educatori all’infanzia, educatori ai disabili, psicologi e psicoterapeuti. Sebbene sia una ferma sostenitrice del fatto che non si fa terapia al museo, è mia convinzione e fondamento del mio lavoro che alcuni ambiti siano di fondamentale supporto al benessere dell’utente MENTRE si trova al museo o si approccia ad un’attività; i benefici che questo stato psicofisico porta, si protrarranno poi nella vita di tutti i giorni e aiuteranno educatori e caregiver nella gestione dello stesso, oltre indiscutibilmente ad arricchire la persona di contenuti nuovi e sicuramente fonte di stimolo.
Network Museum – Cosa cercano, cosa trovano e cosa lasciano le persone con limitazioni e diversità sensoriali in un museo e come possono partecipare alla condivisione culturale?
Jessica Boffa – Mi piacerebbe iniziare con cosa lasciano: moltissimo. Le persone con limitazioni e diversità sensoriali riescono a fornire un contributo interamente nuovo al processo formativo del museo, fornendo un punto di vista inaspettato da cui guardare per fornire soluzioni alla fruizione dei contenuti. Nella mia esperienza, ho più che altro imparato durante le sessioni di attività, che ho condotto con queste persone. Oltre a dati significativi – i miei riscontri si basano su classi di 18/20 utenti con necessità specifiche molto diverse e sessioni della durata di 90′ circa l’una – ne traggo sempre lezioni umane di inestimabile valore, che arricchiscono me ed i contenuti del lavoro che vado a fare, arrivando al punto di progettare un abito “cucito” su misure di due/tre categorie diverse e con un grado di disabilità significativamente importante. Cosa cercano: sempre di più la disabilità è solo un’abilità diversa, chi ne è affetto lo comprende e quello che non cerca sono pietismi e trattamenti speciali. Sebbene disabili, si rendono conto di quello che sono e cercano un ambiente inclusivo, che li possa accogliere per come sono; cercano rispetto e considerazione, cercano perché possono fruire dei programmi destinati ad altre categorie, solo opportunamente adattati. Del resto, anche se soffro solo di miopia, la visita al museo risulterà per me deficitaria se manco di supporti alla vista. Quello che lasciano, infine, sono lezioni umane e di umiltà: si aprono la mente e il petto pronti ad accogliere ogni stimolo, ogni lezione, ogni scintilla di conoscenza, che viene loro regalata; vi si pongono senza pregiudizio, la imprimono e la fanno propria come su tele grezze. Quello che lasciano sono emozioni primordiali e manifestazioni primarie di quello che con loro viene condiviso. Lasciano una forte voglia d’indagine interiore in chi con loro lavora. La disabilità “parla” con la disabilità, di qualunque tipo: è stato interessante vedere, nel mio lavoro, come persone diversamente abili si rapportano, si confrontano, si auto analizzano e forniscono analisi critica di opere prodotte da un genio affetto da patologie di diverso tipo.
Network Museum – Qual è il suo rapporto con i musei e con le altre funzioni museali?
Jessica Boffa – Ho lavorato con realtà museali perlopiù appartenenti al settore pubblico, ho quindi molta dimestichezza sul modus operandi della “macchina statale” quando si parla di musei, nonché quando s’intreccia con enti di gestione privati e fondazioni: il mio percorso professionale è stato tutt’altro che semplice, non sono stata fortunata se si parla di mentorship e devo gran parte delle mie competenze all’esperienza sul campo, di battaglia spesso. Ma non mi lamento: facendo di necessità virtù, ed adattandomi ai ruoli, che necessitavano in ogni step della mia esperienza lavorativa, ho potuto diventare una figura poliedrica e versatile in grado di destreggiarsi in ogni fase della vita del museo. Ho avuto modo di sviluppare skills gestionali, educativi, di curatela e progettazione. Sono in grado di passare da mansioni di welcoming alla gestione progettuale di un museo, lavorare per obiettivi ed integrare ambiti interdisciplinari quali la gestione dell’offerta turistica insieme a quella museale, gestire iter burocratici e rapporti con le istituzioni, sino ad arrivare a mansioni di lead e responsabilità di settore. Oltre a curare le mostre del museo, ed un piccolo orticello di clienti privati, sono a capo delle attività di ambito storico artistico in Europa e coordino le attività in America. Stiamo lavorando a consolidare queste reti, per poi dedicarci ad approfondire le leads che abbiamo nel mondo.
Network Museum – Quali sono le differenze tra l’ambito museale italiano e quello estero in relazione al suo campo di specializzazione?
Jessica Boffa – Le differenze tra l’ambito museale italiano e quello estero, che ho riscontrato, sono significative, sopratutto in termini d’impostazione ed apertura: sebbene ci siano delle eccellenze in Italia, che nella mia esperienza si sono confermate tali anche nella gestione delle reti e dell’apertura alle soluzioni provenienti dall’esterno, le stesse rimangono una minoranza rispetto al numero complessivo di realtà museali presenti nel territorio e di quelle, che ho avuto modo di contattare. In tutti i miei contatti con l’estero, quello che da sempre mi colpisce, è l’apertura con cui persone ed idee vengono accolte, la facilità nel raggiungere Direttori o Responsabili di settore di grandissime realtà, per ciò che riguarda idee e proposte, come non ci sia mai preconcetto su chi propone l’idea ma solo la presa d’atto dell’idea stessa. Oggi, tuttavia, grazie e forse sopratutto a Project 2020, ho potuto riscontrare un cambio di tendenza: il progetto mi ha permesso di incontrare molti nuovi amici, formare reti, combinare i miei studi con quelli altrui, scambiare esperienze ed aprire nuove strade. Sono più che felice di questa apertura e mi auguro, per me ed il museo, che questo flow non s’interrompa e ci permetta di crescere ancora.
Network Museum – Le persone con limitazioni, diversità sensoriali o particolarmente vulnerabili come i bambini, contraggono, sovente, un particolare rapporto con i musei. Come hanno vissuto l’emergenza sanitaria provocata dal COVID-19?
Jessica Boffa – Per quanto riguarda le persone con limitazioni e diversità sensoriali, come già detto sopra, per mia esperienza vengono spesso e purtroppo, per diversi motivi, esclusi dal processo formativo che il museo permette. Essendo una categoria così fragile, probabilmente l’idea della mancata fruizione non è stata una novità, anzi, credo che la nuova tendenza, data dalla necessità causata dalla pandemia, di mettere online il museo sia stata fondamentale. Permettere a persone con diverse necessità di fruire di contenuti in autonomia e, perché no, gratuitamente credo che sia stato provvidenziale: sento purtroppo dire, ad esempio, di come genitori con bambini autistici si debbano “privare” dell’esperienza-museo a causa dei membri della propria famiglia, stesso dicasi per persone con insufficienza intellettiva o demenza senile, perché “disturbano”: oltre all’orribile etichetta che viene loro imposta, diventano diversamente abili anche loro. La possibilità di fruire di molti dei contenuti in modalità online, ha permesso loro di accedere e/o approfondire ad un panorama diverso, e perché no, forse di conforto in questo orribile momento. I bambini, e di conseguenza la famiglie, sono sicuramente le categorie che più hanno sofferto dei cambiamenti imposti dall’emergenza sanitaria: non è stato sempre possibile far comprendere appieno i PERCHÉ delle restrizioni e, di conseguenza, sempre più difficile far capire come mai la loro vita sia drasticamente cambiata dalla sera alla mattina. Noi, come museo, abbiamo cercato di fornire ai bambini di tutto il globo una piattaforma, in cui sfogare le proprie ansie, paure, frustrazioni, incertezze fornendo allo stesso tempo termini di confronto e conforto attraverso la condivisione con le esperienze di loro coetanei nel resto del mondo. Quello che è emerso fa male al cuore ed è bellissimo allo stesso tempo: le emozioni emergono forti e ruvide dai disegni, i racconti, le poesie.. senza filtri, come solo i bambini sanno fare, e ci introducono ad un mondo nuovo forse trascurato sotto le esigenze e gli interessi necessari e fondamentali di salute e salvaguardia. Crediamo di esserci riusciti: più di cento contributi, provenienti da otto diversi Paesi nel mondo, ci hanno dato conferma di essere riusciti a fare qualcosa, e speriamo che questo qualcosa rimanga nelle menti e nei cuori come la pandemia.
Network Museum – Cos’è il Project 2020/TOGETHER?
Jessica Boffa – “Project 2020 / TOGETHER, LE CHÉILE” è stato creato per lasciare un segno nel collegare le esperienze dei bambini di tutto il mondo durante la pandemia di Covid-19.
Il “Progetto 2020 / INSIEME, LE CHÉILE” ci consente di ascoltare i nostri figli e, nel farlo, di apprendere e comprendere la loro prospettiva “, afferma Ekaterina Tikhoniouk del progetto MCI, direttore dei social media. “Speriamo di fornire ai bambini in Irlanda e nel mondo strumenti che li aiutino a dare un senso alla pandemia dal loro punto di vista”, continua la direttrice del progetto Museum of Childhood Ireland, Majella McAllister.
In questo momento strano e terrificante, il benessere e la salute mentale di tutti i nostri bambini è di enorme importanza per noi.
Il Museum of Childhood Ireland Project intende offrire un luogo di scambio per i bambini di tutte le età, dove possono condividere le loro speranze, paure, pensieri e osservazioni; insieme a un senso di comunità e unità attraverso le loro opere d’arte, evidenziate attraverso una mostra virtuale su www.museumofchildhood.ie ed i social media.
Abbiamo creato sette temi e chiediamo ai bambini in Irlanda e in tutto il mondo di inviare lavori relativi a uno qualsiasi degli stessi: Famiglia / Casa, Amici e luoghi di gioco, Luoghi che mi mancano di più, Il mio libro preferito, Sport domestici e Come Io sento.
Attraverso questi temi, speriamo di scoprire come si sentono i bambini durante il blocco e di fronte a misure restrittive. Le opere d’arte inviate vengono costantemente caricate sul nostro sito Web www.museumofchildhood.ie/project2020/ e social media.
Curerò le mostre personalmente, in quanto International Art Curator del progetto Museum of Childhood Ireland.
Network Museum – Esiste qualcosa di simile anche per le persone con limitazioni e diversità sensoriali?
Jessica Boffa – Tutte le attività del Childhood Museum sono accessibili a persone con limitazioni e diversità sensoriali. La mostra sarà corredata da un audiotrack, per permettere la fruizione a persone con limitazioni visive, maggior ostacolo a causa della natura della stessa del progetto. Sebbene la versione web sia già per sua natura fortemente inclusiva, stiamo lavorando alle sedi internazionali del museo avendo in mente l’accessibilità e l’inclusione come criteri fondamentali ed imprescindibili, per quello che riguarda le collezioni e l’offerta culturale in genere del museo.
Network Museum – Quale futuro per l’accessibilità e per l’inclusione?
Jessica Boffa – Se dipendesse da me, farei dell’inclusione sociale una mission per ogni museo: esso stesso si presta ad essere ambasciatore di civiltà, ed in quanto tale dovrebbe essere sempre parte integrante del tessuto sociale. Accentuerei l’inclusione espandendola ed allargandola anche a settori che, sulla carta, ne sono privi. Includere a mio avviso significa, prima di tutto, comprendere, il nostro vicino come il nostro territorio, partendo dal come prima che dal chi; cercare soluzioni che comprendano la fascia di utenza più ampia possibile e, nel caso dei musei, includere il visitatore anche nei processi di solito nascosti al pubblico: rendere sempre disponibili i passaggi di un restauro attraverso una documentazione libera e scaricabile, utilizzo di percorsi tattili destinati alla fruizione e quindi l’inclusione dello spettatore, indipendentemente da chi egli sia. Un museo inclusivo è un museo partecipato, un museo partecipato è realtà viva di un territorio, una realtà viva del territorio è testimonianza di civiltà per i territori vicini ed il resto del mondo. Non si può, secondo me, essere inclusivi se non si è accessibili: e per accessibilità non intendo fare riferimento alla barbosa canonica definizione secondo cui accessibile è in qualche modo attraversabile. Accessibile è molto di più: accessibile è smart, accessibile è flessibilità, accessibile è comunicazione, accessibile è social, accessibile è sicuramente anche sociale. Quindi, oltre ad andare di pari passo, consolidano sempre di più la loro presenza nel panorama culturale e non solo: si esce dallo stigma in cui accessibile e inclusivo sono un binomio da attribuire all’ambito sociale, e ci si espande a settori come il turismo, l’informatica, il commercio. Il mondo che abbiamo davanti sembra essere sempre più accessibile, grazie anche alle nuove tecnologie, e, quindi, anche più inclusivo, grazie a strumenti collegati, che rendono possibile la fruizione in ogni condizione, che sia fisica, economica o sociale.
Network Museum – Ora la domanda collegata al tema dell’anno: cosa e come comunicano i musei?
Jessica Boffa – Per me non ci sono dubbi, i musei sono testimoni del loro tempo e ambasciatori di civiltà, innanzi tutto. Sono contenuto e contenitore, con la responsabilità sociale di far conoscere e permettere in fare proprio il patrimonio derivante da diverse culture, epoche e tradizioni. Occorre tradurlo in tanti linguaggi diversi, che ben si adattino alle esigenze delle categorie di utenza. Sottolineo l’importanza sociale e pedagogica, forse per deformazione professionale, sostenendo la tesi secondo cui fanno da collante all’interno della società: luogo di scambio e dialogo, apprendimento, approfondimento, studio e riflessione. Non per ultima, l’estrema rilevanza del museo in quanto realtà del territorio, intreccio di storie e persone, relazioni, scambi.
Il museo comunica in tanti modi, è uno storyteller per eccellenza: solo l’atmosfera che si respira nelle sale racconta. A mio avviso, il museo comunica i propri contenuti in tanti modi: in maniera diretta, indiretta, visiva, tattile, verbale, social, inclusiva, marketing… Il visitatore risponde agli stimoli che gli vengono sottoposti in molti modi, che a loro volta ingaggiano un dialogo con l’entità museo. Quindi la comunicazione diventa uno storytelling partecipato a più attori, indipendentemente dal mezzo che si sceglie di usare. Il punto è, che quando il canale si attiva, le informazioni cominciano a fluire; e il flow non s’interrompe con il termine della visita, ma prosegue nel ricordo, che a sua volta lo decodifica e ritrasforma: a quanti sarà accaduto di tornare a visitare un museo e pensare – me lo ricordavo più grande, quella mostra lì non c’era – . Ecco che si attiva un’altro livello di comunicazione: l’impressione che si fissa nella mente e che viene ricondivisa attraverso reminiscenze e ricordi. La pandemia, ha spinto i musei a considerare canali alternativi a quelli che il museo fisico può fornire: nascono “contest” su “social”, video su canali streaming, campagne di marketing online, webinair e training singoli/ di gruppo per professionisti ed appassionati; tutto ciò favorisce la libera circolazione dei contenuti e permette la fruizioni in condizioni d’impossibilità: tutto questo è utile, purché a mio avviso, ci si ricordi che è linguaggio che deve essere adattato, non i contenuti. È diritto di ognuno poter fruire della propria storia o di quella di altri popoli in maniera integrale e lo sbaglio in cui si potrebbe incorrere è semplificare i contenuti abbassandoli al livello del target di pubblico, che si vuole raggiungere. Mutilare la storia di alcune sue parti, per favorire la diffusione commerciale, questo è quello che di più un museo dovrebbe temere. Ben vengano i canali, sopratutto gratuiti, che permettono la fruizione del patrimonio in ampia scala, ma tenere sempre il contenuto al centro, senza filtri e semplificazioni, adattre il linguaggio è sempre la strada da seguire. Con l’avvento dei social, le stories che si vedono più di frequente sono quelle degli influencers: se qualcuno pensa che il museo rischia di diventare un vecchio e rugoso cantastorie va bene così, mi piace pensare che sia in realtà il più grande Influencer di tutti i tempi, le cui stories durano millenni.
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Coordinate di questa pagina, fonti, collegamenti ed approfondimenti.
Titolo: “Comprendere per includere”
Sezione: “Oltre l’idea di accessibilità”
Autore: Network Museum
Ospite: Jessica Boffa
Codice: INET2006221800MAN/A1
Ultimo aggiornamento: 22/06/2020
Pubblicazione in rete: 3° edizione, 22/06/2020
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: Jessica Boffa
Fonte immagine: http://www.999contemporary.com
Fonte video e contenuti multimediali: –
Collegamenti per approfondimenti inerenti al tema:
– https://www.linkedin.com/in/jessica-boffa-6666a4165
– www.museumofchildhood.ie