Sistema?!


di Gian Stefano Mandrino

Chi segue “Network Museum”, ed in particolare la sua “copertina”, sa come, sovente, ci siamo riferiti all’insieme delle presenze museali e di entità affini del nostro Paese con il termine “sistema”, ovvero un insieme ordinato di elementi, il cui comportamento sia definito da una logica, possibilmente predefinita ed intelligente. Ebbene, secondo noi, questo “sistema” non esiste, quindi possiamo già escludere il fatto che un museo ne sia parte e così, di conseguenza, la capacità di detto mancato aggregato di esprimere intelligenza (nel senso etimologico del termine: non è nostro compito esprimere giudizi sulle persone, né, tanto meno, attribuire peculiarità agli encefali altrui). Una delle prove di questa circostanza risiede nel fatto che tale assenza emerge dalle esternazioni degli operatori di settore da noi conosciuti, sia di estrazione privata che pubblica non nazionale, che alla domanda sui rapporti con le istituzioni deputate alla gestione del patrimonio culturale nazionale glissino o non rispondano, non certo per voluta malizia o per incapacità individuale. Salvo i soliti riferimenti ad iniziative meritorie promosse dal “basso” il rapporto a livello nazionale sembra proprio non esistere. Questo lapsus virgolettato la dice, di per sé, già lunga sull’immaginario collettivo dell’organizzazione culturale nazionale, percepita come gerarchia piramidale, ai cui vertici sono assise le istituzioni, da cui tutti noi, come implumi pennuti, stando nel proprio nido, attendiamo a bocca aperta una provvidenziale imbeccata, che raramente si manifesta. Altro non vi è, salvo le solite strombazzate iniziative da “capo popolo” da barricata di alcune pseudo istituzioni e massa da transumanza ad ingresso libero e senza il minimo studio sul ritorno di connesse populistiche “manifestazioni di forza” culturale. Mi piacerebbe, per esempio, vedere l’espressione di un amministratore pubblico di alto rango se qualche ventenne, estraneo alla politica ed al sistema del volontariato e delle associazioni, decidesse di “farsi prestare” una porzione di bene nazionale, per metterla, a fronte di un accurato progetto comprovato, a reddito.

Tornando alla questione del sistema, più o meno dotato di intelligenza, anche dal punto di vista più diffuso, ovvero della percezione nella collettività di qualcosa di realmente organizzato su vasta scala e non solo inerente i soliti territori, che vivono di “estensività culturale”, sembra che tale riferimento non esista. Mi permetto di fare notare che stiamo ragionando di “qualcosa che debba essere noto per la sua efficienza, efficacia ed evidenza” non per pompa istituzionale. Vorrei, a tal proposito, invitarvi a paragonare, in termini di efficienza, la presenza museale italiana con quella dell’organizzazione del campionato nazionale calcistico: la prima sembrerà inesistente in confronto alla seconda, massiccia, addirittura invasiva. Questione di soldi, mi direte: forse, ma sicuramente non solo. I valori (in termini economici) in “gioco”, se noi redigessimo due bilanci da comparare, per esempio, sarebbero evidentemente a favore della cultura, a stretta lettura della sezione dedicata al patrimonio economico. È nel capitolo riservato al conto economico che qualcosa parrebbe non funzionare, come se avessimo ricevuto una eredità straordinariamente preziosa e non fossimo in grado di farlo “rendere”. Ventidue uomini in mutande, che cercano di gettare in una rete una sfera, eccitano molti e molto di più altri uomini, che, disposti a pagare per tale eccitazione, rendono il tutto molto redditizio, malgrado le immobilizzazioni (ad eccezione del valore insito in ogni essere umano in quanto tale) nulle, a paragone, del nostro patrimonio culturale. Volere forse è veramente potere ed è certo che a Las Vegas anche l’acqua è stata ed è un problema: eppure quella città in mezzo al deserto è Las Vegas.

Noi, che quotidianamente abbiamo contatti con esponenti del nostro patrimonio culturale, abbiamo scoperto e compreso tre aspetti chiave. Il primo: le istituzioni non credono “nei fatti” alla cultura, perché non sanno cosa farne, ad eccezione del termine assunto ad esclusivo slogan populista. Come accennato poc’anzi, durante ogni nostra intervista anche il migliore interlocutore da noi scelto si trova in difficoltà addirittura a definire il termine “cultura” nel contesto del sistema paese e punta dritto dritto a slogan e formule precostituite e collaudate: non vi è una visione nazionale condivisa in proposito e, pertanto, anche i nostri ospiti non possono esprimere grandi verità senza opportuni riferimenti.
In secondo luogo non vi è l’attitudine da parte della maggior parte dei musei, da noi osservati, studiati e contattati, a concepire un impegno ed un lavoro di squadra. Studiare, organizzare, condividere sacrifici e vantaggi, collaborare tra iniziativa privata e gestione pubblica non è proprio nelle corde di questo Paese, salvo a dire peste e corna di istituzioni varie e di non opporsi mai allo strapotere dei partiti e della politica nella spartizione degli incarichi e delle gestioni culturali. Questo aspetto mi ricorda il proliferare delle tante associazioni culturali e non, in numero pari a quanti soggetti ambiscano ad avere la “presidenza” di qualcosa nella loro vita, per non limitarsi al telecomando del proprio televisore: sovente le associazioni culturali sono il posto peggiore per dedicarsi alla cultura, ottime, invece, per fare pratica di quella politica utile a conquistare posizioni, vantaggi ed affini. 
ll terzo elemento critico osservato è legato al primo: come all’esterno così all’interno delle singole realtà museali ed espositive culturali sembra non si riesca a percepire il concetto di delega, né di procedura, né di mansione specialistica e differenziata. La cosa più grave, però, sembra essere l’assenza di “visione” e di quello che in ambito aziendalistico è definito come concetto di “missione”. La maggior parte dei musei sono fermi all’idea della collezione esposta, più o meno resa accattivante da giochi di luce ed ombre, schermi, cose interattive ed apparati tecnologici. Qualcuno si spinge al concetto di “emozionare”, senza avere la minima idea di cosa sia l’apprendimento, la didattica, la comunicazione e, soprattutto, ignorando il perché l’entità dove opera debba esistere, essere visitata e non, per esempio, essere rasa al suolo. Senza, inoltre, voler entrare nel merito di coloro che pensano, facendosene vanto, che tutto debba essere gratuito, che le scuole rappresentino il “core business” di un ente e che l’area didattica debba limitarsi a far disegnare i più piccoli o a sostituirsi agli insegnanti (invece di collaborare con loro, insegnando a questi come integrare i servizi di un museo nella loro didattica). Quanto definito, ovviamente, non vale per tutti i musei e per tutti i colleghi, che operano nel settore, ma è un dato ricavato dalla nostra ultra ventennale esperienza e, soprattutto, è espressione di ciò che tutti hanno sotto i propri occhi: parole e considerazione superficiale del settore. Ad eccezione dei soliti musei (che come tutti presentano qualche immancabile criticità, forse la presunzione fra le prime, caratteristica che sovente accomuna realtà piccole e grandi, pubbliche e private, noi compresi), sembriamo quasi tutti voler ignorare che, per trarre vantaggio da una situazione di mercato, occorrono: persone, capacità, formazione specializzata e mezzi.

Gli aspetti appena descritti hanno purtroppo la capacità, se aggregati, di aggravare ulteriormente la condizione, originando vizio, inefficienza ed inefficacia di sistema, o forse sarebbe meglio dire, in luogo della parola “sistema”, di un insieme indistinto, che procede accuratamente in ordine sparso, inconsapevole della gravità di tale comportamento.

Ovviamente, come già asserito più volte, la dimensione culturale nella sua totalità non si specchia e non si può riconoscere in quanto appena ritratto. Nel settore privato ed in quello pubblico vi sono realtà, come Linea d’Ombra, il MUSE di Trento, il Palazzo Ducale di Genova ed altri moltissimi esempi, in grado di coniugare ottimamente “management e mission”, “senso artistico e didattico”, “percezione sociale e dimensione istituzionale”, ma poco o nulla possono influire sulla percezione di un “sistema”, poco efficace in Italia quanto alieno all’estero, almeno stando ai dati (purtroppo solo di affluenza) dei nostri “competitor”.

In conclusione inviterei tutti a leggere l’introduzione di Michele Ainis al volume “Il tesoro d’Italia” di Vittorio Sgarbi edito da Bompiani. Nelle pagine di presentazione del libro potrete leggere una nitida riflessione, seppur datata ma ancora attuale, sul nostro sistema…di fare cultura.


Coordinate di questa pagina, fonti, collegamenti ed approfondimenti.

Titolo: “Sistema?!”
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Codice: INET1603091130MANA2
Ultimo aggiornamento: 09/03/2016
Pubblicazione in rete:
2° edizione, 09/03/2016
3° edizione, 28/11/2018

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