Comprendo che possa venire il dubbio che lo scrivente difetti di fantasia nel comporre i titoli, ma tanto è lo sbigottimento di fronte a determinati comportamenti, che non riesco proprio a frenarmi da questo mio scabroso utilizzo dei segni di interpunzione. Oggi la vittima prescelta è la gratuità, una delle piaghe ed ostacolo della diffusione della cultura nel nostro Paese.
Nulla nel nostro sistema fisico è gratuito: per questioni di termodinamica ogni azione prevede un “costo” energetico, una “fatica” che bisogna impiegare per far sì che qualcosa possa essere realizzato. Una mostra non può essere gratuita, per il solo fatto di essere organizzata e così l’accesso ad un museo (vogliamo almeno pagare un caffè al custode che con la sua possente muscolatura spalanchi i battenti della sede museale ove opera!).
La cosa importante è non confondere il costo con il prezzo. Tutto ha un costo, ma non è detto che tutto abbia un prezzo e,o, che sia in vendita.
Indugiare ed indurre volutamente confusione tra “costo” e “prezzo”, può essere veramente pericoloso. Se una cosa non ha prezzo, nel senso che viene concessa senza pretendere nulla in cambio, proprio in virtù della relazione tra i due aspetti descritti, si tenderà ad azzerare anche il costo e con esso la percezione del valore di ciò a cui ci si sta riferendo.
Se continuo a fare entrare gratuitamente visitatori nei musei, oltre a deprimerne il flusso spontaneo, inducendone uno indipendente dal reale motivo della fruizione, si crea un “deprezzamento” del valore dell’oggetto della visita. Ciò non solo non corrisponde alla realtà dei fatti, ma, nel tempo, assume connotati diseducativi. La collettività sarà portata a pretendere un servizio senza comprenderne lo “sforzo” per realizzarlo, che tra l’altro è pagato da tutti, anche da quelli a cui nulla importa della Statua Equestre XXY sita nel museo ABC. Sotto questo aspetto si “fa cultura” ledendo diritti altrui, quelli di coloro che dovranno pagare ciò che non vogliono consumare.
Non insinuo che certe giornate ad ingresso gratuito siano deleterie, anzi, le saluto con “apprezzamento”. Mi permetto, però, di dichiarare che possono, nel tempo, essere deleterie ed addirittura costituire un “non senso” manageriale. Un regalo certamente è gratuito, ma quando lo consegno esso deve apparire bene, incartato ed imballato ad arte in modo da evidenziarne tutta la sua importanza, perché a sua volta, quasi sempre, esso è vettore di sentimenti, di solito molto più importanti del valore nominale di quanto regalato. Occorrerebbe, se non altro, spiegare al pubblico beneficiario di un ingresso gratuito quale sia il valore del regalo, cosa permetta di fruire e perché di tale fruizione sia importante poter godere. Certo è facile comprendere come tutto questo sia complicato da pianificare, quando masse da stadio affollino il nostro patrimonio, sospinti da tale disponibilità di “panem et circenses”. Il populismo è sempre irrispettoso dei cittadini, soprattutto quello inerente la sfera cerebrale: qualcuno potrebbe riflettere su molte cose, iniziando seriamente a pensare alla cultura, al suo significato e, magari, ad agire di conseguenza.
La cultura, nel momento in cui la si percepisce in una delle sue epifanie, è per sua intrinseca natura educativa. Se tale processo sarà falsato, come il tacere la fatica che ognuno dovrebbe fare per conquistare tale contatto (non per questo ci si debba procurare un’ernia dal portafoglio, ma almeno esternare una contrazione da riflesso condizionato), tutto il comparto potrà subire un impoverimento non solo economico, ma soprattutto nella valutazione e nella percezione sociale di chi cerca, propone e mantiene il fenomeno di condivisione culturale. Non giustifichiamo tutto con la promozione: ogni buon mercante conosce la differenza tra svendere e promuovere.
Permettetemi un ulteriore esempio. Non si può certo comprare l’amore “sincero” di una persona, ma occorre,comunque, conquistarselo, e ciò provoca “fatica”, impegno, applicazione. Davanti ad un’opera d’arte, per percepirne il messaggio, dobbiamo applicarci. Per far si che ciò possa essere permesso a tutti, il sistema deve esternare la modalità di come tale evento a favore del visitatore abbia potuto concretizzarsi, oltre ai vari aspetti didascalici, e pretendere, tra le varie forme di impegno, anche quella economica, affinché tale percezione sia più aderente alla realtà delle cose. Ciò permetterà ai cittadini un rapporto più consapevole con il patrimonio e la considerazione dello stesso come proprietà e diritto conquistato e pagato per il singolo fruitore e per tutti coloro che lo vorranno diventare.Come accade sovente per le bugie, anche le storture, che hanno incidenza nella collettività, hanno le gambe corte. Non sarà, quindi, difficile identificare i soggetti ultimi beneficiari di tali ingerenze nel naturale decorso delle circostanze: è sufficiente ragionarci un po’ su. Il tutto assume toni di estrema gravità a causa della pretesa di far passare per realtà e verità ciò che non lo è, abitudine sempre più diffusa ed impunita nel nostro Paese, soprattutto da chi dovrebbe porre estrema attenzione alle esternazioni, siano essi soggetti pubblici che privati. Quante volte, per esempio, certe imprese private fanno leva su sentimenti di pietà per distribuire servizi, sui quali generano utili, o ricaduta di immagine, come avviene per certe sponsorizzazioni o proprietà, che si danno pure toni da soggetti impegnati nel sociale. Il fatto che le istituzioni sostengano una gratuità che non esiste rende la questione, se possibile, di maggiore gravità, poiché tutti noi pagheremo per quelle gratuità, il cui reale (ma non so quanto efficace) vantaggio è la facile popolarità istituzionale presso i cittadini.
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Titolo: “Gratis?!”
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Codice: INET1603311330MANA3
Ultimo aggiornamento: 31/03/2016
Pubblicazione in rete:
2° edizione, 31/03/2016
3° edizione, 28/11/2018
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