Network Museum è giunto alla sua sesta stagione: bilanci e progetti.
Eccoci giunti alla sesta stagione. Sembrava ieri (concedeteci un poco di banale amarcord) che avevamo deciso di provare a condividere ciò che stavamo osservando, chiedendoci e studiando dei musei e di quella che avevamo iniziato a chiamare “didattica collettiva”: era l’8 novembre 2002.
Sono trascorsi quasi vent’anni e sono stati anni molto intensi. Qualcuno, i più importanti tra noi, non sono più, ma in redazione risuona ancora il loro
incoraggiamento, il loro entusiasmo, il loro particolare sprezzo del fallimento ed una coraggiosa fiducia nei giorni, che sarebbero venuti. Ora
appartengono ad un’altra dimensione, ma non perdiamo occasione per ricordarci di loro, per ringraziarli e forse…per invocare, per un attimo solo, ancora la loro presenza. Grazie, ovunque voi siate.
Beh, fazzoletti a posto ed avanti “marc’ “. Proseguiamo con l’inevitabile domandona di rito: cosa è rimasto di questi quasi venti anni? Ne è valsa la pena? Cosa abbiamo scoperto, cosa abbiamo fatto, in sostanza?
Potrà sembrare poco commerciale, strategicamente sciocco, ma siamo studiosi, ricercatori e, pertanto, nulla è più prezioso, per noi che la verità, o meglio, almeno la realtà dei fatti.
Network Museum è una moglie che non si riesce a smettere di amare e, di giorno in giorno, ci si scopre sempre più innamorati di lei. È stata una unione molto ostacolata da varie vicissitudini aziendali, personali e sociali anche (si pensi al Covid). Ma l’amore per lei è ancora una passione che cresce, soprattutto quando la nostra compagna si dimostra in grado di superare le prime rughe, con l’esperienza, l’intelligenza e le tante doti, che da giovani forse non si stimano abbastanza. Che compagna! Fuor di metafora, però, occorre ammettere che è stato difficile mantenere in Italia una struttura privata, che si interessi di ricerca scientifica, priva, volutamente, di capitali pubblici. Immaginatevi la difficoltà nell’alimentare una pubblicazione, il cui obiettivo sia la condivisione della ricerca nel settore delle scienze museali, dove tale attività, la ricerca didattica appunto (non quella conservativa) è pressoché sconosciuta. Doveva svolgere un ruolo da pubblicazione scientifica in un Paese dove ci si vanta di possedere un patrimonio illimitato di cultura materiale ed immateriale. Invece abbiamo scoperto che, eccezioni virtuose e virtuosissime a parte, in realtà, molto è da rifare, o meglio, DA FARE. In questi venti anni non abbiamo visto progredire (sempre con le dovute eccezioni), se non con operazioni di facciata, il comparto museale e culturale nazionale. Il tanto osannato sviluppo socio-economico attraverso la cultura non ha certo dato i risultati fantasmagorici presunti. Qualche facoltà universitaria in più, le solite lotterie di direttori non sempre all’altezza, precariato, soprattutto tra i giovani, le maggiori vittime di una potenzialità (e forse di una pia illusione se si continua nella corrente gestione), che non si sa come mettere a frutto sotto tutti i punti di vista. Parole, arte dell’atteggiarsi, apparenza e vanità, mostre che non hanno alcun senso, file di turisti in attesa, come sempre, e turisti che incontrano “cose” e non sistemi intelligenti per la conoscenza e la crescita, malgrado l’intelligenza artificiale incombi in ogni dove e l’elettronica sembri sia destinata solo al far stupir di barocca memoria. Non si riscontra (sempre con le dovute eccezioni) un vero e proprio sforzo di porre al centro dell’attenzione la persona, il visitatore, il fruitore, la sua necessità, la sua volontà, il SUO DIRITTO a comprendere, a conoscere, a fruire del patrimonio a beneficio della sua vita, della sua consapevolezza esistenziale. Invece permane il rito, un poco feticista, di incensare oggetti ed estinti, alla ricerca della gloria personale di chi, non artefice di tanta bellezza o capacità, sovente e purtroppo si rivela essere un vuoto opportunista della scena.
Molti si chiederanno, magari con un briciolo di malcelata goduria, se tutto ciò non possa essere considerato un fallimento. Certo che sì: un fallimento pieno per Network Museum (non economico e giuridico, grazie al Cielo!). Non siamo diventati la pubblicazione scientifica, che volevamo divenire, perché le discipline museologiche sono ancora ben lungi da potersi considerare scienza e da seguire l’iter delle consuete espressioni scientifiche (ad eccezione degli aspetti tecnici di conservazione e restauro, secondi a nessuno). Ma noi ci interessiamo di come si fruisca di ciò che chiamiamo patrimonio culturale, quali effetti possa sortire nella propagazione della conoscenza, nella vita delle persone, nella economia e nella politica della società: saperlo conservarlo, ora, è il minimo sindacale per una Paese come il nostro. Certo: Network Museum non è ancora divenuto un centro di ricavo per il nostro istituto, è scarsamente conosciuto ed ogni volta che in sedi istituzionali ha cercato di proporre soluzioni e progetti è stato zittito o neppure considerato. Eppure continua ad essere sostenuto grazie alle altre attività di Infogestione e lo sarà fino a quando ve ne sarà la possibilità.
Perché, allora, cocciutamente proseguire? Perché, contrariamente al comune pensiero, non è detto che vi sia solo l’utile finanziario, l’indice di ascolto, i like o la viralità dei social. La maggioranza non definisce la verità, né una norma la giustizia e tantomeno, la moda il giusto approccio alla vita. Abbiamo scoperto molti aspetti, che meritano ulteriori approfondimenti. Ci siamo resi conto che il progetto di Network Museum, notevolmente accresciuto in questo ventennio, è più che mai utile ed urgente e che è stato fondamentale alimentarlo sino a farlo emancipare in uno “spin off”, specializzato non solo nella ricerca o nella comunicazione di settore, ma nei servizi e negli aspetti divulgativi, di condivisione e di promozione delle scienze museali. Grazie alle osservazioni ed agli studi conseguenti abbiamo potuto approfondire teorie, come quella della Configurazione, e definire protocolli di ricerca come il “Cultural Community Management”, focalizzato sullo studio, sulla realizzazione e sulla gestione delle comunità culturali. Abbiamo realizzato progetti per il territorio, dimostrando che una risorsa patrimoniale culturale da mero centro di costo può virare in centro di ricavo, con benefici e ricadute economiche e sociali, oltre che di condivisione e fruizione culturale: si pensi a progetti quali Network Museum Expo o quelli dedicati al patrimonio complesso, come alcune strutture militari nel nord d’Italia. Sovente, però, accade nel contesto scientifico – tecnologico, che (e questo passatecelo dopo tanto sforzo di franchezza ) si stia offrendo qualcosa di troppo complesso rispetto alla capacità di comprensione di una certa porzione di popolazione, che si nutre ancora di equilibrismi e rendite di posizione, anche, e forse soprattutto, se si possono vantare titoli accademici, riconoscimenti artistici e cose di questo genere. Chiamati a pronunciarci su problemi di tipo gestionale, comunicativo o didattico, sempre in ambito patrimoniale e culturale, a fronte di progetti e soluzioni espressi, ci siamo vista negata la possibilità di procedere, perché non graditi a certi ambienti o non consoni ad uno statu quo, che non doveva essere variato. È questa una delle cause dell’asfissia del settore culturale italiano, assediato da potentati accademici, interessi politici e piccole donne e uomini, che cercano un posticino sul carro del finanziatore o del possibile erogatore di agi e vantaggi.
In realtà ciò che è stato appena descritto fa parte delle normali dinamiche mercantili: nei paesi di cultura anglosassone si definisce tale attività “lobbing”. Il dramma si concretizza quando ciò è attuato in modo da ostacolare chi può avere idee, soluzioni e proposte a favore, invece, di soggetti inetti o che desiderino alimentare la propria condizione di vantaggio a spese della collettività e dei portatori di vero merito.
Noi continuiamo a pensare, con sempre maggiore entusiasmo, a questa nostra sesta edizione, che vedrà Network Museum muoversi sia nell’ambito abituale delle istituzioni museali, ma anche, per la prima volta, dando voce ai fruitori del patrimonio, culturale, condividendo con gli stessi attività, viaggi e possibilità di divenire protagonisti della conoscenza.
Ad maiora, ad maiora!
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Titolo: “Sei!”
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Ospite: –
Codice: INMNET2403051600MAN/A1
Ultimo aggiornamento: 06/03/2024
Pubblicazione in rete: 6a stagione, 05/03/2024
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: Network Museum
Fonte immagine: Network Museum
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